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La Stampa Rassegna Stampa
22.05.2008 I legami tra corti islamiche e Al Qaeda ? Un prodotto dell'"isteria cospirazionista della Cia"
Domenico Quirico nega i fatti

Testata: La Stampa
Data: 22 maggio 2008
Pagina: 16
Autore: Flavia Amabile - Domenico Quirico
Titolo: «Somalia, rapiti due volontari italiani - Mogadiscio di notte»

Da La STAMPA del 22 maggio 2008, la cronaca di Flavia Amabile sul rapimento di due cooperanti italiani in Somalia

Due cooperanti italiani e uno somalo sono stati rapiti poco dopo l’alba di ieri in Somalia, in una piccola località del Basso Shabele, 65 km a Sud di Mogadiscio. Sono stati avviati i primi contatti e i rapiti hanno fatto sapere che stanno bene e non hanno subito violenze. Non si sono avute rivendicazioni ufficiali, ma si pensa a un sequestro per estorsione, il quarto da aprile. Il presidente dell’Associazione delle Ong Italiane, Sergio Marelli, ipotizza un errore: i rapitori sarebbero convinti che il gruppo per cui lavoravano - la storica Cooperazione Italiana Nord Sud, fondata vent’anni fa - volesse costruire una chiesa in territorio somalo. «Un atto terroristico» lo ha definito Abdi Hajji Gobdon, il portavoce del governo.
Sia le fonti ufficiali sia le famiglie dei sequestrati invitano a tenere un «profilo basso» per facilitare la mediazione che probabilmente si sta svolgendo tramite gli «elders», i saggi locali, normalmente non coinvolti in atti di violenza, ma in grado di fare da ponte con i banditi. Il ministro degli Esteri Frattini ha imposto alla Farnesina il massimo riserbo «per tutelare l’incolumità degli ostaggi e favorire la positiva conclusione del caso».
I rapiti italiani sono Giuliano Paganini, 64 anni, un agronomo di Pistoia di grande esperienza, che ha speso moltissimi anni in missioni di cooperazione in Africa, da dove la figlia, Valentina, 30 anni, era rientrata da poco. Con lui è stata portata via Iolanda Occhipinti, ragusana, 51 anni, due figli, da ragazza una speranza della pallacanestro, poi infermiera e dal 1995 impegnata nella cooperazione. Un anno fa aveva ricevuto l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Stella della solidarietà.
Sono stati prelevati nella loro casa-ufficio della Cins a Awdigle poco prima delle sei e mezza da un gruppo di uomini armati giunti su tre camionette. I banditi, dopo aver immobilizzato i guardiani, hanno bendato i due e il loro collega somalo Abderahman Yusuf e li hanno portati via, rubando anche alcuni computer.
Le tre persone sequestrate curavano un progetto per la razionalizzazione e il rilancio agricolo del Basso Shabele, un progetto finanziato dalla Cooperazione italiana e dall’Ue, ma gestito dalla Fao, che aveva scelto la Cins per l’intervento. Che la Somalia non fosse una terra tranquilla, lo sapevano. «Hanno liberamente scelto di continuare i progetti sul posto. Sono dei coraggiosi», spiegano alla Ong. I due cooperanti erano già sfuggiti a un tentativo di sequestro tre settimane fa, ma Jolanda aveva smentito che l’attacco fosse rivolto contro di loro. Dopo quell’episodio era arrivato un aereo per portare via tutti gli stranieri ma Jolanda non si era imbarcata, spiegando: «Non ho l’autorizzazione di Roma a partire».

Per inquadrare la situazione somala, La STAMPA pubblica un'analisi di Domenico Quirico nella quale i rapporti documentati tra coorti islamiche e Al Qaeda divengono un'allucinazione  prodotta dall' "isteria cospirazionista della Cia".
Renzo Guolo, non certo un neo-con, scrive sulla REPUBBLICA  ("Bande criminali e fedeli di Bin Laden, due volti dello Stato senza Stato", pagina 16):"Come tutti i gruppi islamisti radicali, gli shebab rifiutano l´idea che la lealtà clanica possa prevalere sull´adesione a un´ideologia transnazionale e transclanica come quella ummista e jihadista. È questa ideologia che ha condotto leader come lo stesso Aeru a dar vita all´ala qaedista delle Corti, organizzazione in cui originariamente convivevano gruppi neotradizionalisti ed elementi radicali. Così in Somalia sono comparsi gli attacchi suicidi e le videocassette con i testamenti degli shahid, i "martiri"."
Ecco il testo completo dell'articolo di Quirico:

Somalia, fronte secondario della Jihad universale e della Grande guerra al terrorismo. Bisognerà iniziare a scrivere la storia di una sconfitta americana nel Corno d’Africa, la seconda in questa terra abbuiata che gronda sangue fanatismi avidità feroci malaccortezze geopolitiche, la replica silenziosa ma non meno bruciante dello scacco dell’operazione Restore Hope, ultimo tentativo occidentale di smentire il caso più macroscopico di ipocrisia umanitaria. Washington nel dicembre del 2006 era certa di aver stravinto; i tribunali islamici, la sezione locale di Al Qaeda secondo i rapporti dell’isteria cospirazionista della Cia, erano dispersi, vinti, in fuga. Mossa magistrale aver inviato i soldati etiopici a riportare al potere con le baionette un governo di unità nazionale zeppo di vecchi arnesi dell’epoca del dittatore Barre. Erano illusioni.
Martedì è stata una giornata tranquilla, commentavano con un sospirone al mercato di Mogadiscio. Nel Mar Rosso i barchini della «Marina islamista» avevano appena dato l’assalto a un cargo giordano beffando l'armata navale americana. In città un’imboscata di miliziani fondamentalisti ha preso di mira un convoglio di soldati etiopici, la forza di liberazione (o di occupazione). Il posto di controllo scelto per l’agguato si chiama Sinkadher, un punto perduto tra le rovine di una città martirizzata da decenni di cannonate e mischie feroci. Gli assalitori avevano armi pesanti, mitragliatrici e lanciagranate: tre soldati sono morti, e due civili con loro, passavano di lì per caso. Vicino a quella che ai tempi di Siad Barre era l'Accademia militare, una bomba è stata nascosta ai bordi della strada; cinque soldati di una pattuglia mista somalo-etiopica sono rimasti sul terreno, straziati. Normalità, tragedie flebili. Ogni tanto arrivano i giorni davvero caldi; allora i ribelli escono dai quartieri-fortezza e lanciano assalti articolati alle basi degli etiopici sempre più nervosi depressi feroci.
E’ difficile indagare nel cuore delle tenebre somale, ma il rapporto di Amnesty International non ha dubbi: i soldati di Addis Abeba ormai procedono a esecuzioni sommarie di presunti islamisti e sceicchi accusati di parteggiare per i ribelli: lasciano i cadaveri, con i testicoli tagliati, in mezzo alla strada. Ma queste esecuzioni non sarebbero che un aspetto di una tattica ormai disperata che cerca con il terrore di fermare la rivolta che sembra avere un sostegno popolare. Molte donne sarebbero state stuprate, case saccheggiate. Bugie ed esagerazioni, secondo Addis Abeba; ma la cifra di seimila morti lo scorso anno non la contesta nessuno, le battaglie e le violenze hanno spinto 600 mila persone a fuggire dalla capitale.
Il governo e i suoi invadenti alleati non sono, sembra, in grado di controllare la situazione. La violenze e la repressione rafforzano la volontà di resistere e aggiungono nuove reclute ai fondamentalisti che predicano ormai una jihad patriottica contro il governo fantoccio. Difficile non trovare in questo slogan qualche fondamento.
All’inizio di maggio gli americani erano convinti di aver segnato un punto decisivo: una bomba ben guidata su una casa a Dusa Mareb da informazioni precise ha ucciso Aden Hashi Farah detto «Ayro». Per loro era il proconsole di Bin Laden in Somalia; piccolo giovane imprendibile, da anni figlio spirituale dello sceicco Hassan Dahir Aweys, capo dei Tribunali, era un Ayr, uno dei clan che controllano la capitale somala. Era lui che ha fatto vuotare il vecchio cimitero cristiano che risaliva al periodo coloniale per costruire un campo di addestramento per i suoi combattenti, spesso arruolati all’estero. Gli americani hanno commesso un vecchio errore: pensare che la morte di un capo bastasse a decomporre un’organizzazione abilmente decentrata e flessibile, in grado di mimetizzarsi durante i momenti difficili e poi colpire al momento giusto. Martedì sera la vendetta è scattata, ad Addis Abeba. Un minibus carico di esplosivo è scoppiato in pieno centro vicino al ministero degli Esteri: sei morti, tra cui un americano.

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