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La Stampa Rassegna Stampa
22.06.2006 Per D'Alema con l'Iran la politica giusta è il cedimento totale
e lo dice a Mottaki, ministro degli Esteri degli ayatollah

Testata: La Stampa
Data: 22 giugno 2006
Pagina: 10
Autore: Emanuele Novazio
Titolo: «I dubbi di D’Alema Le sanzioni troppo costose per ltalia»

 «Diritto inalienabile» dell'Iran degli ayatollah a sviluppare capacità nucleari "civili"(ma per quanto tempo resteranno tali?), sanzioni "troppo costose" per l'Italia, nessun cenno alle minacce a Israele, al negazionismo , all'antisemitismo del regime. Alle violazioni dei diritti umani e al sostegno al terrorismo.
E' la linea del ministro degli Esteri italiano Massimo D'Alema, come emerge dall'incontro con l'omologo iraniano Mottaki.
Peggio delle peggiori previsioni.
Di seguito, la cronaca di Emanuele Novazio, dalla STAMPA del 22 giugno 2006:
 

Il governo italiano «sostiene la piattaforma negoziale dell’Unione europea» e chiede a Teheran di «superare ogni riserva alla riapertura delle trattative» sul dossier nucleare. Una risposta positiva «consentirebbe il coinvolgimento dell’Iran, anche con l’appoggio dell’Italia, nel dialogo sulla stabilità e la sicurezza dell’area», ha detto il ministro degli Esteri Massimo D’Alema al collega iraniano Manucheher Mottaki nell’incontro di ieri sera alla Farnesina. Un incontro sollecitato da Teheran alla ricerca di nuovi interlocutori, che fonti diplomatiche definiscono «molto amichevole ma ispirato a grande fermezza da entrambe le parti». D’Alema aggiunge che la conseguenza naturale di questo processo sarebbe «il riconoscimento del ruolo regionale» al quale l’Iran «giustamente e legittimamente aspira». L’auspicio italiano, insomma, è che si possa pervenire a un’intesa che consenta di coinvolgere l’Iran in un rapporto costruttivo con la comunità internazionale.
Sullo sfondo di un no convinto all’atomica iraniana e di un fermo riconoscimento del «diritto inalienabile» di Teheran all’energia nucleare con scopi pacifici, sono due dunque gli elementi di fondo del riposizionamento italiano sull’Iran che il ministro degli Esteri ha esposto a Mottaki. Il primo riguarda il teatro d’insieme nel quale si colloca la crisi scatenata dalla decisione iraniana di riprendere l’arricchimento dell’uranio, primo passo per la realizzazione dell’atomica. Roma ritiene che per incoraggiare Teheran al negoziato si debba offrire una «soluzione globale» che punti al coinvolgimento - non all’isolamento - della Repubblica islamica riconoscendone il ruolo di potenza regionale. Il secondo elemento riguarda l’apporto italiano al negoziato con Teheran: uno dei dossier più importanti che la diplomazia mondiale dovrà affrontare nei prossimi anni ma dal quale il governo Berlusconi si è autoescluso (per compiacere Washington, come si sostiene a Teheran?). Il governo vuole ricucire quello che considera uno strappo diplomatico: pur consapevole che bisogna procedere con cautela per non irritare i partner europei nè Washington, D’Alema ha sottolineato il rapporto privilegiato dell’Italia con Teheran, rimasto tale anche in momenti difficili.
Se - dopo le dichiarazioni del presidente Ahmadinejad - la posizione di Mottaki sulla risposta alle potenze occidentali era scontata («Bush non può e non deve avere fretta, non abbiamo concordato nessuna scadenza, il pacchetto con le proposte presenta molte ambiguità ed è giusto quindi che Teheran lo studi con serietà»), il ministro iraniano ha invece mostrato interesse per la prospettiva di un negoziato «più generale». Il solo che possa riconoscere a Teheran il ruolo di potenza regionale al quale aspira nell’infuocata area mediorientale: con una determinazione ancora maggiore dopo lo sbarco americano in Iraq e in Afghanistan, due Paesi confinanti.
Il ministro iraniano ha accolto con favore anche la richiesta di una partecipazione italiana al negoziato. Un apporto che, per il momento almeno, non diventerà però parte integrante del gruppo dei Sei (i membri permanenti del Consiglio di sicurezza, Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, più la Germania), ma si svilupperà all’interno del G8. La speranza italiana era, per l’appunto, che la risposta di Teheran arrivasse prima della ministeriale G8 (alla quale parteciperà d’Alema) prevista a Mosca il 28 e 29 giugno. O almeno entro il vertice dei capi di Stato e di governo delle 8 potenze, il 15 luglio a San Pietroburgo. Su una presenza più incisiva nelle trattative, comunque, il governo ha già ricevuto segnali incoraggianti: a Washington durante la visita di D’Alema, e a Mosca durante quella di Prodi. Gli ostacoli, semmai, potrebbero arrivare da parte europea.
L’interesse italiano a un coinvolgimento più stretto nel negoziato è duplice: diplomatico-politico ed economico. «Rientrando nel gruppo» Roma otterrebbe benefici d’immagine ma soprattutto di sostanza nello scacchiere internazionale, evitando di restare a rimorchio delle iniziative altrui. Il nostro peso economico-commerciale con l’Iran, del quale siamo il primo partner europeo con un interscambio di oltre 4 miliardi di euro l’anno, otterrebbe inoltre una garanzia diretta: come ha ricordato ieri D’Alema, «eventuali sanzioni economiche a Teheran ci costerebbero l’equivalente di un paio di finanziarie».

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