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La Repubblica Rassegna Stampa
14.07.2016 L'amore ai tempi del terrore: 'Dolore', il nuovo libro di Zeruya Shalev
Recensione di Melania Mazzucco

Testata: La Repubblica
Data: 14 luglio 2016
Pagina: 31
Autore: Melania Mazzucco
Titolo: «Il coraggio di raccontare l'amore ai tempi del terrore»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 14/07/2016, a pag. 31, con il titolo "Il coraggio di raccontare l'amore ai tempi del terrore", la recensione di Melania Mazzucco.

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Melania Mazzucco

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Zeruya Shalev

La mattina del 29 gennaio del 2004, a Gerusalemme, una donna è al volante della sua auto. Ha appena accompagnato il figlio a scuola, anche se non avrebbe dovuto farlo, perché nell’organizzazione familiare quello è compito del marito. Ma il bambino faceva i capricci e il marito — che aveva un impegno di lavoro — non poteva tardare. Ma anche la donna ha un lavoro, e anche lei è in ritardo. Così, quando si ritrova incolonnata dietro un autobus in una strada di Rehavia, lo sorpassa. In quello stesso istante, a bordo, un palestinese imbottito di tritolo si fa saltare in aria. L’esplosione, violentissima, scaraventa la donna fuori dalla macchina, la solleva letteralmente in volo, e poi la scaglia a terra — frantumata.

L’attentato miete undici vittime. La donna sopravvive e dopo mesi di operazioni chirurgiche, ospedali e riabilitazioni riacquista la funzionalità degli arti, anche se per anni, forse per sempre, dovrà convivere col dolore. Che si irradia dal corpo ferito e dalle ossa faticosamente saldate, ma si annida anche nei recessi della psiche, fino a diventare un meccanismo difensivo studiato dalla neurologia e definito “dolore post-traumatico”: il sistema nervoso crea un dolore per avvertire che c’è qualcosa che non va. È come il fumo che si leva dalla cenere anche dopo che il fuoco si è spento. A volte è proprio la guarigione a generare la sofferenza. La donna al volante dell’auto, in quel mattino di gennaio, è una moglie, una madre, ma anche una scrittrice: Zeruya Shalev.

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La copertina (Feltrinelli ed.)

Già nota come poetessa, quattro anni prima si era imposta con Una relazione intima, in cui raccontava il rapporto della giovane Yaara con Arieh Even, un uomo “vecchio e triste”, ex migliore amico del padre (e che in verità aveva svolto un ruolo decisivo nella storia della nascita della ragazza). Crudo e crudele, erotico e disturbante, il romanzo aveva colpito per la prosa nello stesso tempo lirica e introspettiva, scabrosa e perfino efferata.

Con Una storia coniugale e Dopo l’abbandono, rispettivamente sul matrimonio e sul divorzio, forma una sorta di trilogia sul rapporto fra uomo e donna. Dell’attentato di Gerusalemme, Shalev ha parlato in svariate interviste. Ma solo oggi lo trasfigura e lo trasforma nella cicatrice indelebile al centro del suo ultimo romanzo Dolore, appena pubblicato da Feltrinelli per la traduzione di Elena Loewenthal, da tempo voce italiana di Shalev. La protagonista, Iris, è infatti rimasta vittima, dieci anni prima, di un attentato a Gerusalemme la cui dinamica è identica a quella reale.

Tuttavia Shalev non è un’autrice autobiografica, nel senso letterale del termine. Rielabora la sua esperienza e la storia sua e delle sue famiglie (quella originaria e quelle formate da lei), ma non scrive memorie, né autofinzioni. La sua fiducia nel romanzo è al contrario saldissima e ammirevole, e la sua narrativa si iscrive nella migliore tradizione del romanzo israeliano contemporaneo. Che — da Shabtai a Kenaz, Oz, Grossmann e Meir Shalev — quasi sempre aggira e circumnaviga la situazione politica del paese preferendo rifrangerla nelle inquietudini, nei lutti e nelle vicende domestiche e private dei propri protagonisti. Intorno all’esplosione dell’autobus che devasta il corpo di Iris, Shalev costruisce perciò una storia immaginaria che ha il tono dimesso dell’epica quotidiana: la lotta di una donna di 45 anni col proprio passato, che riemerge, insieme al dolore post-traumatico, nella figura del mai dimenticato primo amore, scardinando le certezze della sua vita adulta e facendogliela apparire d’un tratto il pallido surrogato di un’altra vita possibile, e però mancata. Tutto sembra andare in pezzi come le sue ossa: il matrimonio, l’amore del marito, la professione (con abnegazione e tenacia è divenuta preside di una scuola d’avanguardia), il rapporto con la figlia, invischiata in una relazione degradante con un uomo più vecchio di lei che per certi versi può ricordare quella di Yaara con Arieh.

Per i lettori e le lettrici di Shalev sarà di conforto ritrovare alcuni nodi e snodi già esplorati dall’autrice. Per scoprire che la maturità impone un mutamento di prospettiva ( Dolore è narrato dal punto di vista di Iris, e Iris è donna e amante ma, nella seconda parte del romanzo, soprattutto madre), e modifica anche lo sguardo degli scrittori — e di conseguenza il loro stile. Dolore evita le asprezze cui Shalev ci ha abituati (anche quelle del recente e magnifico Quel che resta della vita). Smussati gli angoli, l’autrice racconta ora i propri personaggi con maggiore indulgenza.

Anche la lingua — soprattutto nei dialoghi — appare più piana, più parlata, quasi colloquiale. Ma la sua voce e il modo di comporre le storie restano inconfondibili. La struttura vagamente teatrale delle scene, l’andirivieni nei meandri del tempo e della memoria, la relazione fra la storia di Israele e la storia minima dei personaggi, il dialogo mai interrotto con episodi dell’Antico testamento e del Talmud (Shalev ha un master in studi biblici), che offrono sempre spunti di interpretazione e comprensione ai fatti del presente (in Dolore, è la storia di Giuseppe, gettato nella cisterna dai suoi fratelli). E soprattutto l’ostinata fedeltà ai propri temi: la riflessione sulle dinamiche e sui conflitti familiari, le relazioni fra genitori, figli, amanti, la sessualità, l’erotismo.

In Una relazione intima, la giovane voce narrante si dice che il suo problema è di non riuscire «a distinguere la vita dall’esperienza sentimentale». Un rimprovero che a molte donne, e molte scrittrici, suona familiare. È stato mosso per minimizzarle, a volte per negare loro qualità e valore letterario. Le opere di Shalev — tanto più quelle scritte dopo l’attentato del 2004 e il lungo silenzio che ne è seguito — sembrano una risposta. L’esperienza sentimentale è forse solamente una parte, e nemmeno la più importante, della vita di ognuno; il caso, la storia e la volontà altrui possono deviarne la traiettoria, ferirla, o annientarla — ma senza educazione all’ascolto della propria interiorità, nessuno può comprendere, perdonare, riconciliarsi col passato proprio e con quello di tutti. In una parola, salvarsi.

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