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La Repubblica Rassegna Stampa
20.06.2016 Marek Halter descrive un mondo di pace che non c'è
Lo intervista Giampaolo Cadalanu

Testata: La Repubblica
Data: 20 giugno 2016
Pagina: 22
Autore: Giampaolo Cadalanu
Titolo: «'La paura non ci cambi, il terrorismo si batte con l'islam moderato'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 20/06/2016, a pag. 22, con il titolo "La paura non ci cambi, il terrorismo si batte con l'islam moderato", l'intervista a Marek Halter di Giampaolo Cadalanu.

L'opinione di Marek Halter è conciliante, ricorda quella espressa da Papa Francesco: entrambi vedono un mondo in pace che non esiste. Bene fa Halter a parlare di islam, ma fino a che non indicherà con chiarezza che cosa sia quello che definisce "islam moderato" questo rimarrrà un vuoto slogan. Per di più pericoloso, perchè nasconde la realtà, che è sempre meglio conoscere.

Ecco l'intervista:

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Giampaolo Cadalanu

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Marek Halter

LA PAURA rischia di cambiare la nostra vita: Marek Halter, scrittore e filosofo, ne è convinto.

Halter, lei ha sentito della stazione di Bruxelles. Secondo lei, l’incubo degli attentati sta modificando il nostro modo di vivere? La paura può davvero influenzare le nostre scelte in modo significativo? «Il pericolo c’è. Istintivamente la gran parte della gente sa che siamo di fronte a qualcosa di nuovo, anche se ancora inespresso. Si può vivere con il terrorismo, ci si può abituare a tutto. Tutt’al più si va meno al cinema, allo stadio. Ma in realtà i campi di calcio sono pieni in questi giorni. Malgrado il rischio, la gente va ad applaudire i calciatori».

Che cosa è questo “nuovo” percepito dalla gente? «Stiamo entrando in un mondo diverso, che non rassomiglia più a quello dei nostri genitori, del dopoguerra. Allora tutto era regolato, c’erano i partiti, le ideologie, il progresso tecnologico e un certo benessere. Questo sta cambiando: non ci sono più le ideologie, cioè non abbiamo più le risposte alle domande che ci mettiamo. Non abbiamo più la conoscenza della tecnologia che ci ha sorpassato e ci mette paura».

Allora dove cerca le risposte l’uomo del Terzo Millennio? «Poiché l’uomo non può vivere senza speranza, ritorna a Dio e alla religione. André Malraux aveva previsto che il secolo XXI sarebbe stato religioso e aveva ragione. Torniamo nel mondo con Dio, e non lo controlliamo più. C’è un proverbio Yiddish che dice: quando gli uomini fanno progetti, Dio ride».

Ma perché la riscoperta della fede deve diventare paura? «In questo mondo dove la religione è al primo posto, una religione che nel secolo scorso è rimasta ai margini ritorna al centro dell’attenzione: è l’Islam. E come in qualsiasi religione, ci sono gli estremisti. Come in passato c’erano le guerre di religione o le crociate, ora siamo di fronte alla violenza dell’Islam. Ed è un problema, perché in tutti i nostri Paesi ci sono parecchi musulmani. Ma la paura non è solamente per il pericolo dello Stato islamico, o per il timore di attentati. La paura tocca tutto quello che è estraneo al nostro modo di vivere. Voglio dire: i musulmani di Francia per esempio sono sette milioni, il dieci per cento della popolazione. Ma ora molti li guardano con sospetto. Saranno d’accordo con l’Is o no?».

Come si articola la paura? «Diventa doppia: all’incubo di un nemico esterno, come lo Stato Islamico, si affianca il timore di uno interno, la comunità islamica locale. Nella Germania del secolo scorso la paura di un pericolo esterno, i bolscevichi, si è affiancata a quella del pericolo interno come i giudeo-bolscevichi. E al potere sono andati i nazionalsocialisti e Hitler».

Si può distinguere una cultura europea della resistenza, come quella di Londra durante i bombardamenti nazisti, e le reazioni talvolta molto più viscerali degli Stati Uniti? «Forse un po’, ma non del tutto. In Europa le nazioni conservano la loro individualità. In Inghilterra, in Belgio, in Francia, dopo gli attentati abbiamo sentito riaffermare l’identità nazionale prima di tutto. Negli Stati Uniti tutti sono sospetti, nessuna comunità può essere sospettata a priori, perché gli Usa sono un Paese giovane. In Francia invece è una minoranza a essere sospettata. Il pericolo è che la paura ci allontani gli uni dagli altri, ci faccia vedere come barbari tutti quelli che non sono come noi. Oggi chiamiamo barbari a quelli che ci uccidono, i terroristi, ma alla fine barbari sono gli stranieri, gli “altri”, come in Germania barbaro era l’ebreo, perché era diverso dagli altri. In Francia barbari sono i musulmani, perché sono differenti da noi, non sono cristiani né ebrei, non appartengono alla civiltà giudeo-cristiana. Anche se io credo che lo scontro di civiltà sia un’idea ridicola… Dopo l’11 settembre negli Stati Uniti tutti controllavano se c’era un bagaglio abbandonato. In Francia si guardano i volti, un viso con caratteristiche del Nordafrica ci sembra già sospetto».

Lei propone un richiamo alla riconciliazione? «L’ho scritto anche nel mio libro Réconciliez-vous! Dobbiamo subito tendere la mano agli islamici che si sono espressi contro gli attentati. Per questo prepariamo una marcia dei musulmani contro il terrorismo, per il 16 settembre. Si andrà da Molenbeek, in Belgio, a Parigi, al teatro Bataclan, 360 chilometri a piedi».

Mobilitare le coscienze basterà a battere il terrorismo? «Nel mondo ci sono un miliardo e trecento milioni di musulmani, il nostro futuro dipende da loro. Se si impegnano a seguire lo Stato Islamico, siamo perduti. Avremo uno scontro terribile, la terza guerra mondiale. Ma se marciano con noi… Chi si batte oggi in Iraq e in Siria contro lo Stato Islamico? I musulmani che non ne condividono l’ideologia».

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