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La Repubblica Rassegna Stampa
13.05.2015 Luz, disegnatore di Charlie Hebdo: 'Basta caricature sull'islam': è resa al terrorismo islamico?
La paura è legittima, ma è anche il segno che i terroristi hanno vinto

Testata: La Repubblica
Data: 13 maggio 2015
Pagina: 1
Autore: Anais Ginori
Titolo: «'Mai più islam nelle mie vignette, ora dico addio a Maometto'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/05/2015, a pag. 1-30, con il titolo "Mai più islam nelle mie vignette, ora dico addio a Maometto", l'intervista di Anais Ginori a Luz, disegnatoe di Charlie Hebdo.

La paura è un sentimento umano. Proprio per questo, non deve nascondersi dietro a una posizione ideologica chi ha paura.
Nell'intervista che pubblichiamo di seguito Luz, storico disegnatore di Charlie Hebdo e in passato autore di molte caricature di Maometto dichiara di voler smettere di disegnare tutto quello che riguarda l'islam, a partire proprio da Maometto.
Non vogliamo né possiamo giudicare la scelta di Luz. In ogni caso, si tratta di una resa al terrorismo islamico, al ricatto sanguinoso rivolto dai fratelli Kouachi a Charlie Hebdo, e più in generale dall' islam terrorista al sistema delle libertà di cui l'Occidente, nonostante tutto, si fa portatore.
Bisogna però chiamare le cose con il proprio nome, afferrare il coraggio a due mani e dire che, in questo caso, i terroristi hanno ottenuto quello che si proponevano, ben al di là della strage materiale del 7 gennaio.
La paura, come dicevamo, è un sentimento umano, ma segna anche una vittoria del terrorismo islamico: la scelta di Luz significa la vittoria di chi non tollera che le proprie certezze ideologiche e religiose possano venire ironicamente messe in dubbio. E' una resa della libertà all'islam che avanza.

Ecco l'intervista:

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Anais Ginori

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Luz con la copertina del primo numero di Charlie Hebdo dopo la strage del 7 gennaio, da lui disegnata

«Sono stufo. Non è paura, solo stanchezza, noia » . Luz sorride, guarda con occhi malinconici dietro ai grandi occhiali, fuma la sigaretta elettronica. «La mia ultima goccia di ispirazione su Maometto si è esaurita con quella copertina verde di Charlie Hebdo del 14 gennaio. Ho avuto una conversazione mentale con il mio omino, il Profeta. Ci siamo rinfacciati le colpe. E alla fine ho capito che il problema non sono io né lui». Renald Luzier aveva 20 anni quando ha cominciato a lavorare per Charlie Hebdo .

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Attentato mortale alla sede di Charlie Hebdo: uccisa la libertà

Il 7 gennaio si è salvato perché era il suo quarantatreesimo compleanno ed è arrivato in ritardo alla riunione di redazione. Aveva portato ai colleghi una torta, la gallette des rois, che nessuno ha mai mangiato. Doveva chiamarsi proprio così, “Gallette des rois”, il suo primo libro post-attentati diventato invece “Catharsis”: una graphic novel intima e poetica che uscirà in Francia la settimana prossima e che Repubblica anticipa. In questi quattro mesi, Luz ha abbozzato riflessioni, emozioni, ricordi, fantasmi che lo perseguitano. Le strisce di Luz sono un flusso di coscienza nel quale s’incrociano i fratelli Kouachi, autori della strage al settimanale, ma anche Camille, la sua compagna.

«Racconto una storia d’amore in mezzo a una guerra psicologica» spiega Luz che ordina un panino senza carne, è vegetariano, dentro alla sede dell’editore Futuropolis. In esergo del libro ha messo una citazione di Shining. Luz si sente come Danny, il protagonista del romanzo di Stephen King: testimone di qualcosa di incomprensibile che lo sovrasta.

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Smettere di fare vignette su Maometto è tradire le vittime di Charlie Hebdo? «Ci sono altri disegnatori che continueranno. Il dibattito ormai è aperto. Non ho altro da aggiungere. Ci sono lettori che hanno deciso di cancellare l’abbonamento a Charlie perché ho preso questa decisione. Mi dispiace, ma non sono un guerriero, né un soldato».

Non è un modo di darla vinta ai terroristi? «Siamo caduti in una trappola. Al Qaeda o l’Is fanno comunicazione anche attraverso di noi. Veniamo strumentalizzati dagli integralisti, così come le persone che hanno manifestato contro Charlie in alcuni paesi arabi. Ma sono convinto che la maggioranza dei musulmani, almeno in Europa, se ne frega di Charlie».

I disegni sono stati per lei una forma di catarsi? «Nelle ore dopo l’attentato ho pensato che non avrei mai più fatto una vignetta. Ero anche convinto che non era giusto uscire subito con un nuovo numero di Charlie».

Perché non era una buona idea? «Avevamo bisogno di più tempo per capire in quale storia eravamo finiti. Alla fine, abbiamo pubblicato il numero per orgoglio, forse per senso del dovere. Anche io, dopo 48 ore, ho ripreso in mano il pennarello».

Cosa c’era nel disegno con il quale si è sbloccato? «Quando sono entrato in redazione ho trovato i miei amici a terra, caduti di schiena. Non ho visto facce. Ho disegnato una sfilata di culi per riassumere l’assurdità crudele della situazione».

Prima, però, già la sera del 7 gennaio, aveva buttato giù un altro schizzo? «Dovevo dare la mia testimonianza alla polizia, ma avevo visto pochissimo: solo due uomini incappucciati che scappavano facendo tak, tak, tak con i kalashnikov. Ho chiesto un foglio agli agenti. Ho scarabocchiato un omino, con due palle al posto degli occhi. Poi tanti altri omini. E’ diventata un’ossessione. Solo dopo ho capito perché: anche Charb quando era nervoso scarabocchiava omini».

Luz e Charb: una vicinanza talmente forte che spesso venivate confusi. «Era il mio migliore amico. Ci assomigliavano. Ho passato 25 anni con lui. Ai suoi funerali ho detto che eravamo stati anche amanti. E c’è pure qualcuno che ci ha creduto».

Le vittime non appaiono nelle sue strisce. Perché? «Era difficile disegnare gli amici morti. Parlare di Charb, Tignous e degli altri, senza rappresentarli forse è anche una forma di elaborare il lutto».

E’ riuscito invece a immaginare i fratelli Kouachi bambini. «C’è stato un momento in cui anche loro disegnavano. Noi vignettisti prolunghiamo quest’età dell’innocenza. I Kouachi hanno abbandonato la loro infanzia per entrare nell’età adulta nel modo peggiore».

Come si vive sotto scorta? «Cerco un punto di vista comico, altrimenti impazzirei. Per venire a quest’appuntamento ho messo mezz’ora perché le due macchine blindate che mi scortavano si sono perse dentro Parigi. Ecco, mi sono detto, in un film americano funzionerebbe meglio».

Ha paura? «La cosa più difficile è accettare che la fonte del mio lavoro, l’immaginazione, ora agisce contro di me, facendomi vedere pericoli ovunque. In certi momenti, rimpiango di avere una fantasia così forte».

Il mondo intellettuale americano si è diviso sul premio del Pen Club a Charlie Hebdo. La sorprende? «Non abbiamo mai cercato il consenso, anzi. Per noi è normale criticare ed essere criticati. Non voglio diventare uno specialista del ‘Je suis Charlie’. Ricordo solo che in Francia non esiste il reato di blasfemia».

Emmanuel Todd definisce una “impostura” la manifestazione dell’11 gennaio. Cosa risponde? «Non ho letto il libro ma mi pare un’analisi sociologica frettolosa e riduttiva su chi ha manifestato e su chi non c’era. Io mi sono spaventato della forza simbolica di quel corteo. Abbiamo smesso di essere solo un giornale per diventare una data nei libri di Storia».

Charlie Hebdo riuscirà a sopravvivere? «Continuiamo a fare il giornale con una reazione pavloviana. A me ora interessa meno scherzare su Sarkozy o Le Pen. Mi era venuto in mente di fare un disegno su Berlusconi dopo che è inciampato. Mi sono accorto che pure lui mi annoia».

Perché si è schierato con parte della redazione che critica l’attuale direzione? «Abbiamo fatto un appello pubblico per tornare a parlarci. Molte cose sono state decise nell’urgenza. Ora stiamo finalmente affrontando le tante domande, anche sulla gestione dei fondi raccolti, dell’azionariato. E’ difficile. Siamo cambiati dopo gli attentati. Io non so dove sarò tra tre mesi».

Potrebbe lasciare il giornale? «Ho sempre lavorato a contatto con l’attualità, ma ora m’interrogo su chi sono diventato dopo il 7 gennaio, e devo capire cosa voglio davvero disegnare».

Per inviare la propria opinione a Repubblica, telefonare 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


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