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La Repubblica Rassegna Stampa
17.04.2015 Netanya, la piccola Francia nel cuore di Israele
Reportage di Giampaolo Cadalanu

Testata: La Repubblica
Data: 17 aprile 2015
Pagina: 18
Autore: Giampaolo Cadalanu
Titolo: «Netanya, la terra promessa degli ebrei di Francia: 'Qui ci sentiamo al sicuro e possiamo ricominciare'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 17/04/2015, a pag. 18, con il titolo "Netanya, la terra promessa degli ebrei di Francia: 'Qui ci sentiamo al sicuro e possiamo ricominciare' ", il reportage di Giampaolo Cadalanu.

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Giampaolo Cadalanu


Netanya

Fuggire dalla Francia per finire in un casermone, sia pure sulla spiaggia di Bamboo Village? Non sia mai. Le torri di 25 piani appena terminate all’ingresso di Netanya sono ancora vuote, nonostante il mare sia a pochi metri. Gli annunci immobiliari sono in ebraico, in inglese, in russo. I francesi sono raffinati: preferiscono i due piani e il prato ben rasato delle case del centro, costruite una quarantina d’anni fa. I primi cartelli “À louer”, affittasi, compaiono verso Ussishkin street. Ma il sogno di chi non sopporta più Parigi resta la zona di Kikar Ha’atzmaut, piazza Indipendenza. Vicino all’insegna “Pain au Chocolat”, sotto gli ombrelloni candidi, i tavolini sono pieni di coppie con bambini e pensionati che chiacchierano in francese.

Il Mediterraneo è poco più in là, e la brezza leggera basta appena per tenere in volo i kite-surfer. Sembra la Costa Azzurra, ma è Netanya, “dono di Dio” in ebraico. Èil sogno di ricominciare daccapo e sentirsi al sicuro: qui Charlie Hebdo è un ricordo sfumato e pazienza se, come dice un residente, i croissant sono comme ci comme ça, non un gran che. Accanto a una Megane bianca con il cartello “À vendre”, Silvia cerca di tenere tranquilli i bambini. «A Parigi non sono più a mio agio. Studio Scienza delle finanze e lavoro in banca, ma non accettano nemmeno di farmi rispettare lo shabbat. Per questo vorrei trasferirmi qui». Ethan, camicia a quadretti e kippah, aggiunge che in Israele i suoi studi di Informatica serviranno a qualcosa. «Qui ci sentiamo protetti», aggiunge sua moglie Jana, terapista del linguaggio: «In Francia abbiamo amici che sono stati aggrediti solo perché portavano il copricapo tradizionale ».

Sicurezza e lavoro: il sogno è qui, sulla Riviera d’Israele. Se non bastassero gli annunci immobiliari sul Jerusalem Post, edizione francese, o sul francofono Israel Magazine , a indicare Netanya come destinazione prediletta di chi intraprende l’ aliya, l’ascesa, il ritorno, cioè il viaggio verso la terra promessa, possono servire le cifre dell’agenzia ebraica per Israele: negli ultimi 10 anni i nuovi arrivi hanno superato quota 5mila, solo l’anno scorso gli immigrati dalla Francia erano 2mila, su poco meno di 7mila in tutta Israele. Un punto dolente è l’integrazione, che appare facile a chi arriva per una vacanza, ma si rivela poi molto complicata. L’agenzia raccomanda un trasferimento graduale, sottolinea la necessità di corsi di lingua ebraica e offre rimborsi sulla formazione, aiuto nella ricerca di lavoro e una riduzione dell’81 per cento delle tasse sulla casa per il primo anno. Ma non basta. Molti immigrati si sono sfogati con il Nouvel Observateur , raccontando i disagi culturali e le difficoltà economiche. C’è Remy, ristoratore, che ha lasciato Parigi per «un colpo di testa», ma poi ha cominciato a soffrire i modi rudi degli israeliani «che non dicono mai grazie e non rispettano le file» e, alla fine, consumati i risparmi, ha deciso di tornare in Francia. Il pendolarismo è così diffuso da essere ribattezzato l’“aliya-Boeing”.

Per gli adolescenti, secondo l’associazione Elem, il panorama è di inquietudine e insoddisfazione: «I ragazzi si sentono esclusi, gli mancano i codici dell’età, persino la lingua», spiega Omer, uno dei responsabili. La prospettiva è passeggiare attorno alla piazza Kikar, in un limbo di incertezze che la stampa israeliana chiama «a due passi dalla delinquenza ». C’è chi, come David, è tornato in Francia dopo dieci anni per motivi politici: «È un Paese in guerra, ci sono tensioni estreme e ineguaglianze sociali profonde. Credevo di arrivare in una terra di cultura europea, con il welfare. Invece sono arrivato in Medio Oriente, in un sistema liberista». Sulla mancanza di percezione politica dei nuovi arrivati ironizza senza pietà anche il moderato Yedioth Ahronoth : «Vogliono la pace, ma votano l’ultranazionalista Lieberman. Vogliono lo Stato sociale, ma votano Netanyahu». Sofia, israeliana di Parigi, sposata a un italiano, ha scelto il compromesso: metà dell’anno in Francia e l’altra metà in patria. «In Europa la tensione con i musulmani è alta. Ma se devo essere sincera, non credo proprio che Israele sia un Paese sicuro».

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