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La Repubblica Rassegna Stampa
26.10.2014 Storia degli ebrei, di Simon Shama
Commento di Susanna Nirenstein

Testata: La Repubblica
Data: 26 ottobre 2014
Pagina: 49
Autore: Susanna Nirenstein
Titolo: «Nel regno di Davide la parola è poesia»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 26/10/2014, a pag.49, con il titolo " Nel regno di Davide la parola è poesia " il commento di Susanna Nirenstein al libro di Simon Shama "La Storia degkli ebrei".


Susanna Nirenstein    La copertina

Una delle meraviglie de La storia degli ebrei di Simon Schama è l’immedesimazione totale nel racconto. È la sua storia. Il volume di 565 pagine arriva fino alla cacciata dalla Spagna del 1492 (il secondo finirà ai giorni nostri), ma è stato in gestazione per 20 anni: gli aneddoti, il pensiero, i pezzi di papiro, i frammenti di coccio, le immagini, i personaggi, e soprattutto le parole tracciano una cronologia mobile e colorata, personalissima. Da dove comincia? Da Abramo? Mosè? La fuga dai faraoni? Niente affatto. Per l’inglese Schama, professore di storia dell’arte alla Columbia University di New York, “in principio” c’è un legionario dal suo stesso nome, con un padre chiamato Osea come il suo babbo che riceve dai genitori una lettera normalissima, tipo «siamo preoccupati per te», mentre è di stanza nel 475 a. C. a Elefantina, un’isola dell’alto Nilo, nell’odiato Egitto. Quel che interessa a Schama è l’interazione con gli altri popoli. A Elefantina per esempio, nella regione idolatrica per eccellenza da cui Geremia predicava di tenersi alla larga, non solo alcuni ebrei erano tornati numerosi dopo la sconfitta subita dagli assiri, nel 721 a. C., ma vi avevano eretto perfino, nonostante la proibizione, un grande tempio in cui svolgevano sacrifici. In quel luogo si mostra una commedie humaine di ebrei che non osservano la legge alla lettera, ma rispettano il sabato, molti altri precetti e hanno per vicini di casa persiani, egizi, con cui a volte si sposano. Scena opposta a Gerusalemme. La storia ebraica, con i suoi “chiacchiericci”, ricomposta da Schama quasi fosse un paleontologo, ha due modi di esistere: quello ferreo, gerusalemitano, esclusivo, e quello “banale”, urbano, inclusivo, di Elefantina che a Schama piace si direbbe di più. Costretto a lasciare il suo ottimismo quando cristianità e islam dominano gli ebrei con demonizzazioni, espulsioni e massacri, Schama sottolinea l’enorme carica vitale ebraica in ogni situazione. Prendiamo ad esempio, nel capitolo finale, Abraham Zacuto, rabbino astronomo cacciato della Spagna a fine XV sec.: è lui che scrive l’Almanacco perpetuo del moto dei corpi celesti che farà “da bussola” a Cristoforo Colombo a bordo della Santa Maria, eppure l’antisemitismo lo porta in Portogallo, poi in mano ai corsari, e in fondo a Tunisi nel 1504. Come fecero gli ebrei a mantenere in vita religione e identità nonostante tutto? Non con rigidità e chiusura come recita la vulgata. Vissero fianco a fianco con cento altri popoli. Solo le persecuzioni li spinsero in sfere separate, dice Schama. La risposta sta nella Parola, la Torah, che fin dal VI secolo a. C. «venne letta ad alta voce, facendosi rotolo trasferibile di storia, legge, sapienza, poesia, profezia, consolazione»: ognuno scriveva e leggeva, perfino certi operai dell’VIII sec. a. C. che scavarono nella roccia l’acquedotto di re Ezechia, lasciando una firma che è quasi una poesia.

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