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La Repubblica Rassegna Stampa
17.09.2014 Il forziere del Califfo: petrolio e contrabbando di reperti archeologici
Analisi di Ettore Livini

Testata: La Repubblica
Data: 17 settembre 2014
Pagina: 17
Autore: Ettore Livini
Titolo: «Rapimenti, petrolio e reperti archeologici: ecco il tesoro del 'Califfato Spa'»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 17/09/2014, a pag. 17, con il titolo "Rapimenti, petrolio e reperti archeologici: ecco il tesoro del 'Califfato Spa' ", l'analisi di Ettore Livini.

Ettore Livini

Ha un apparato da far impallidire quello di Al Qaeda. Controlla un territorio dove vivono 8 milioni di persone, grazie a un esercito di 30mila fedelissimi reclutato in Medio Oriente, Africa ed Europa. La vera arma segreta dell’Is è però un’altra: il portafoglio. Il “Califfato Spa” è un’azienda del terrore che fattura tra i 2 e i 3 milioni al giorno, «la più ricca che abbiamo mai combattuto », ammette Matthew Levitt, ex funzionario del Tesoro Usa. Lo scorso giugno — come certifica il contenuto di 160 chiavette Usb sequestrate a Mosul dai servizi iracheni prima che la città cadesse in mano agli uomini di Abu Bakr Al-Baghdadi — gli jihadisti avevano in cassa un “tesoretto” cash da 825 milioni. E le loro fonti di reddito (contrabbando di petrolio e reperti archeologici, tassazione nelle aree controllate, rapimenti, estorsioni e donazioni) li rendono quasi immuni dalle sanzioni economiche che hanno messo in ginocchio Bin Laden.
L’ORO (NERO) DEI CALIFFI
Il greggio è di gran lunga la principale voce tra le entrate del Califfato. L’Is controlla da tempo i pozzi siriani della provincia di Deir Al Zor, in grado di pompare secondo l’Intelligence Usa tra i 30 e i 70mila barili al giorno. L’offensiva in Iraq ha portato nelle loro mani una decina di giacimenti nel Nord, da cui escono oggi 40mila barili al dì. L’esercito di Al Baghdadi ha fatto attenzione a non danneggiare questi impianti e ha costretto le maestranze a non abbandonarli e a tenerli in funzione.
Come si smercia il petrolio? L’Is è riuscita a mettere (o tenere) in piedi alcune raffinerie artigianali sia in Siria che in Iraq. Un po’ del carburante di bassa qualità ottenuto viene venduto a Mosul, dove vivono due milioni di persone. Il resto viaggia in autobotte per essere contrabbandato in Turchia, Iraq e Kurdistan. Una parte, pecunia non olet , verrebbe addirittura venduto al nemico — il regime di Assad — in cambio di una sorta di immunità dai bombardamenti aerei sui pozzi.
Un barile comprato a Manbij, l’hub di distribuzione autogestito in Siria dall’Is, costa tra i 10 e i 22 dollari contro i 100 del valore di mercato. Quelli portati dagli intermediari, specie turchi e libanesi, all’estero (Ankara ha appena sequestrato 15 tonnellate di carburante e quasi 3 km di oleodotto clandestino che attraversava il confine) valgono fino a 60 dollari. Il business del greggio rende oggi all’organizzazione per Rand Corporation qualcosa come 2-3 milioni al giorno e potrebbe garantire quest’anno un surplus di 100-200 milioni.
FISCO E ARCHEOLOGIA
L’altra voce che ingrassa il portafoglio del gruppo sono le tasse sui territori occupati. La formazione di Al-Baghdadi garantisce alla popolazione sicurezza (dal suo punto di vista), servizi di base e infrastrutture. In cambio impone dazi. La vendita di carburante sussidiata a Mosul, per dire, è stata sospesa. E il prezzo di un litro di benzina è triplicato a 1,5 dollari. I camion pagano un balzello di 400 dollari per circolare nelle aree controllate dall’Is, un pick-up un centinaio e un auto circa 50. A Raqqa, in Siria, i commercianti sono stati costretti a pagare un contributo all’esercito del Levante in cambio della raccolta dei rifiuti. A questa attività più “istituzionale”, se così si può dire, si affianca il lucroso business delle estorsioni a negozianti e imprese. Una sorta di economia sommersa che per Mahadi Gharawi, ex capo della polizia di Ninive, genera qualcosa come 8 milioni al mese. Un altro business è quello del commercio dei reperti archeologici: secondo The Guardian i jihadisti hanno guadagnato 36 milioni di dollari solo contrabbandando oggetti recuperati nel sito siriano di Al-Nabuk. Il Califfato sta iniziando poco alla volta a mettere su anche un piccolo sistema di imprese di stato: in Siria è stato attivato un mini-cementificio mentre in alcune aree l’esercito si occupa della distribuzione dell’elettricità.
IL “BINGO” DI MOSUL
Un contributo decisivo al bilancio 2014 di Al-Baghdadi arriverà però dal “bingo” di Mosul. Lo scorso giugno il suo esercito ha conquistato la città irachena. E nei caveau della banca centrale avrebbe trovato un vero e proprio tesoro in contanti. Quanti? Il New York Times parla di 400 milioni di dollari. Fonti di polizia locali dicono al massimo 85. Comunque una fortuna una tantum che darebbe un contributo decisivo ad aumentare la potenza di fuoco del Califfato, accumulata in passato grazie pure ad “aiuti” indiretti di Paesi occidentali che volevano rovesciare il regime di Assad. Una montagna d’oro utilizzata per finanziare la guerra e gestire un generoso sistema di welfare per militanti e famiglie.
Questo complesso modello di autofinanziamento, dicono gli esperti, è uno dei segreti della forza del Califfato. Per colpire il cuore economico dell’organizzazione non basta minacciare sanzioni contro i ricchi benefattori privati sunniti come si è fatto con successo nell’era di Al Qaeda. Bisognerebbe bombardare i pozzi nelle sue mani — ipotesi poco praticabile — o strappargli i territori dove esercita un’influenza anche economica. La guerra finanziaria ai jihadisti rischia di essere più complessa di quella combattuta con le bombe dal cielo.
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