Si è molto sottovalutato l’Is. Poi, davanti alla decapitazione di James Foley, c’è stata l’ondata di orrore.
«L’Is rappresenta una minaccia senza precedenti per almeno due motivi: è un vero esercito con armi tradizionali impegnato in una guerra simmetrica. Ma è in grado anche di agire con azioni terroristiche, come si è visto, quindi in una guerra tipicamente asimmetrica, difficile da contrastare. Dovremo fare i conti con questi combattenti almeno per i prossimi dieci anni».
Perché?
“Perché l’Is ha dimostrato di poter costruire uno Stato, di conquistare e amministrare un territorio vastissimo. Perché controlla una quindicina di pozzi e di raffinerie petrolifere con i quali incassa ogni giorno due milioni di dollari. Quando hanno conquistato Mosul, i combattenti hanno svuotato i caveau delle banche e si sono trovati in mano 500 milioni di dollari in contanti».
Si stima che siano meno di 50 i jihadisti italiani impegnati nella guerra in Siria e Iraq.
Sappiamo chi sono?
«Li conosciamo. Ma sono gli altri, quelli con passaporti europei, che ci preoccupano. Sono migliaia. Solo della metà sappiamo l’identità e i movimenti. Provengono dal nord Europa ma anche dai Balcani. Sono proprio questi che allarmano di più la nostra intelligence».
L’estate scorsa si discuteva se bombardare o meno la Siria di Assad. Un anno dopo si prepara il terreno per colpire i nemici del rais di Damasco.
«Lo scenario è cambiato così in fretta da capovolgere la strategia. Ma è anche il sintomo che l’Occidente e l’Europa, ancora una volta, non hanno capito cosa stava accadendo in quell’area».
Molti paesi in Medio Oriente stanno reagendo. Eppure sono gli stessi che hanno sostenuto e fomentato il jihadismo.
«La Turchia svolge un ruolo importante nell’area. Eppure fa parte della Nato. Al vertice di settembre chiederemo che prenda una posizione chiara e netta».
Lo scontro è più militare o ideologico?
«Militare sul terreno ma ideologico nel suo complesso. L’attrazione per la jihad nasce anche dal fallimento espresso dal modello europeo e occidentale. Di fronte a questa spaventosa crisi mondiale, l’Europa è stata capace di rinviare di un mese la formazione del nuovo governo. Appare stanca, con le sue radici inaridite. Ha bisogno di ripensare ai suoi valori, di rifondarli. Oggi rincorriamo i cessate- il-fuoco, le tregue. Abbiamo rinunciato alla parola pace».
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