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La Repubblica Rassegna Stampa
18.07.2014 Operazioni di terra a Gaza: le omissioni di Fabio Scuto
che non informa sulla strategia degli 'scudi umani' di Hamas

Testata: La Repubblica
Data: 18 luglio 2014
Pagina: 8
Autore: Fabio Scuto
Titolo: «In trappola sotto le bombe. Israele invade Gaza, i carri armati nelle strade»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 18/07/2014, a pagg. 8-9, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo "In trappola sotto le bombe. Israele invade Gaza, i carri armati nelle strade".

L'articolo di Scuto descrive la situazione dei civili a Gaza sulla base di fonti del locale "ministero della Sanità", cioè di Hamas. Inoltre, omette il contesto, ovvero il fatto che il gruppo terroristico islamista conduce le sue operazioni e nasconde le sue armi in zone densamente popolate e in edifici civili, e che "invita" la popolazione a fungere da scudo umano. Circostanze, come si può leggere in altra pagina di IC, denunciata persino dall'UNRWA, l'agenzia per i "profughi palestinesi" da sempre al servizio della propaganda antisraeliana. 

Si veda l'articolo di Carlo Panella a questo link:

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=54294

Scuto omette anche di precisare che Israele utilizza ordigni progettati per produrre esplosioni limitate, in modo da uccidere soltanto i terroristi di Hamas e non la popolazione tra la quale si muovono.

Di seguito, l'articolo:

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Hamas lancia razzi da aree civili

LA REPUBBLICA - Fabio Scuto: "In trappola sotto le bombe. Israele invade Gaza i carri armati nelle strade "


Fabio Scuto


Alle
undici di sera il cameriere bussa violentemente alla porta e urla: abbiamo solo dieci minuti per evacuare l’albergo, è iniziato l’attacco di terra. Nella notte dell’undicesimo giorno di bombardamenti, Benjamin Netanyahu ha ordinato dunque l’invasione di Gaza. I lampi delle cannonate nel nord della Striscia si vedono dal centro della città, avvolta nel buio dopo l’interruzione della corrente. Ci raccontano che il porto è stato preso di mira subito. E poi le notizie dei tank penetrati in profondità in molte zone. La gente di Gaza è in trappola sotto le bombe. Tra le prime vittime c’è anche un neonato.
Per tutto il pomeriggio la Striscia è stata bombardata dal cielo, da terra e dal mare. In risposta gli artiglieri islamici hanno lanciato oltre cento razzi contro Israele. Poi è cominciata quella che i portavoce militari definiscono «una nuova fase dell’operazione “Margine protettivo”». «L’obiettivo dell’offensiva non è abbattere il governo di Hamas», recita un comunicato di Tsahal, ma «infliggere un colpo significativo alle infrastrutture terroristiche», i tunnel in primo luogo. Le Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio militare dell’organizzazione islamica, hanno già risposto sprezzanti: «Aspettavamo con ansia questa operazione di terra, per dare una lezione agli israeliani».
La mattinata di ieri, con la tregua umanitaria mediata dalle Nazioni Unite, aveva concesso una boccata d’ossigeno dopo dieci giorni di bombardamenti. I fornai si erano messi a panificare nella notte, i supermarket avevano aperto per qualche ora, così come il mercato delle verdure. L’aroma del pane cotto di fresco aveva invaso le strade di Gaza City, quasi fosse in competizione con il lezzo che si alzava dai mucchi di immondizia abbandonati da dieci giorni lungo il marciapiede. Davanti al forno centinaia di persone aspettavano con pazienza il proprio turno. Tutti guardavano nervosamente l’orologio, le lancette correvano veloci, troppo veloci, e alle tre del pomeriggio scadeva il cessate-il-fuoco con Israele. In molti speravano che potesse prolungarsi, ma pochi ci credevano veramente.
In mattinata una dozzina di giovanissimi miliziani di Hamas aveva cercato di entrare in Israele attraverso un tunnel, ma era stata respinta, e il tunnel fatto crollare.
Allo scadere della tregua le strade si sono svuotate di colpo e Gaza è ripiombata nel suo incubo: il primo dei cento razzi sparati ieri da Hamas e dalla Jihad islamica è partito descrivendo un arco bianco sul cielo azzurro di Gaza City, diretto verso Ashkelon, un minuto dopo le 3 del pomeriggio. Israele ha risposto con otto attacchi aerei, uno ha centrato in pieno una palazzina di tre piani nel quartiere Sabra di Gaza City. Ne resta solo un cratere largo una decina di metri, pieno di detriti, mobili, materassi bruciati, un sandalo bagnato di sangue e l’odore della morte che è appena passata di qui portandosi via due bambini di 10 anni, Jihad e Wissam, e la cuginetta Fulla (un’altra bambina è rimasta uccisa a Khan Yunis). Il volto del nonno Markuk Shahaibar è rigato dalle lacrime mentre sta seduto sui gradini della morgue dell’ospedale Al Shifa. Non impreca e non maledice nessuno, infagottato nella jallabya grigia, sporca di polvere e di sangue, forse maledice se stesso. È stato lui a dire ai nipotini, che scalpitavano insofferenti dentro casa dopo una settimana, che potevano salire in terrazzo per dare da mangiare ai piccioni nella voliera.
Allo Shifa Hospital, uno dei più grandi centri ospedalieri della Striscia, si lavora tutto il giorno ad affrontare un’emergenza senza fine, il flusso dei feriti a ondate, la farmacia che si svuota di medicinali a velocità impressionante. Il bilancio delle vittime aumenta di ora in ora e i team medici lavorano con turni massacranti, al giorno 11 di questa mini-guerra anche la loro tenuta psicologica è a rischio. Il dottor Ashraf al Qidrah, portavoce del Ministero della Salute, spiega: «Il personale medico ha a che fare con i corpi fusi o mutilati, con ustioni di secondo e terzo grado, queste nuove bombe arrivano ed esplodono prima di toccare il suolo e tagliano in due tutto quello che trovano. Non abbiamo mai amputato tante gambe come ora. I medici sono anche uomini, fatti di carne e sentimenti, ne risente la loro tenuta psicologica e scende la loro capacità di gestire lo stress». Hassan Kalaf, direttore sanitario dell’ospedale, sciorina numeri da brividi. «Il settore sanitario è in seria difficoltà, abbiamo bisogno di medicine e materiali di consumo, specialmente per le emergenze e la terapia intensiva. L’ospedale ha energia solo per 8 ore al giorno, per il resto dobbiamo andare avanti con i generatori, la terapia intensiva è piena, ma non abbiamo solo feriti, abbiamo anche dializzati, emofiliaci e altre patologie gravi, pazienti che vivono solo grazie alle macchine. Spesso non siamo in grado di inviare un’ambulanza. E l’ospedale può diventare un obiettivo in ogni minuto». All’Al-Wafa, un centro di riabilitazione per anziani già bombardato tre volte, una manciata di medici e infermieri continua a chiedersi come proteggere i pazienti dai raid israeliani. I pazienti, la maggior parte paralizzata o in coma, sono costretti a letto nel salone dell’ospedale dopo che un missile ha colpito il 4° piano, distruggendo l’impianto di purificazione dell’acqua, che a Gaza è infiltrata dalla salsedine e dagli scarichi a cielo aperto. La zona dove si trova, Shajaya, dista dalla linea di confine meno di un chilometro, e da ciò che rimane del 4° piano si vedono nettamente le case e le fattorie sul lato israeliano. L’ospedale ha chiesto la protezione delle agenzie umanitarie internazionali e il direttore Basman Alashi ci assicura che questo presidio medico è noto all’esercito israeliano, ma ciò non gli ha impedito di essere bombardato. L’esercito israeliano ha contattato l’ospedale per tre volte, chiedendo al personale di abbandonare l’impianto. Ma 14 pazienti non possono essere spostati. E non c’è nessun posto dove portarli. «Non c’è posto sicuro a Gaza! Se un ospedale non è più sicuro che ospedale è?», si lamenta: «I nostri pazienti non sono autosufficienti, non possono muoversi, camminare, o mangiare da soli». Mentre parla le finestre dell’ospedale vibrano per le esplosioni dei bombardamenti. Vicino, sempre più vicino, e alla fine un colpo di cannone centra il secondo piano ferendo alcuni infermieri. «Durante la notte, molti pazienti piangono e ci stringono le mani per la paura». Per fornire assistenza, il personale lavora 24 ore per turno, lotta contro la stanchezza, ma non solo. «Siamo esseri umani, naturalmente abbiamo paura», dice il dottor Hassan Sarsour. «Non sappiamo che cosa dobbiamo fare per proteggere i nostri pazienti. Abbiamo svuotato tutti i piani tranne la ricezione». Scende la notte e la città è al buio, almeno in superficie. Sotto, nei tunnel-rifugio scavati per la dirigenza di Hamas c’è luce, c’è internet, c’è persino la tv, perché è indispensabile tenersi aggiornati. Ma invece dell’Iftar, la cena che rompe il digiuno di questo Ramadan di sangue, arriva un diluvio di fuoco dal cielo, dalla terra e dalle navi da guerra che incrociano al largo, ma non troppo, perché la fiammata dei cannoni si distingue nettamente dalla spiaggia.

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