venerdi 26 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
06.04.2014 Afghanistan: donne al voto contro i talebani
Reportage di Giampaolo Cadalanu

Testata: La Repubblica
Data: 06 aprile 2014
Pagina: 12
Autore: Giampaolo Cadalanu
Titolo: «Al seggio con Jamila 'Un voto contro i Taliban per i diritti delle donne'»
Riportiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 06/04/2014, a pag.12,  l'articolo di Giampaolo Cadalanu dal titolo " Al seggio con Jamila “Un voto contro i Taliban per i diritti delle donne” "


Giampaolo Cadalanu


Donne al seggio elettorale in Afghanistan

Jamila appartiene alla generazione che gli uomini dal turbante nero li ha affrontati. Erano spaventosi, dicevano cosa si poteva fare e cosa no. A 45 anni non si vergogna nell’ammetterlo: «Mi sono chiesta tante volte se valeva la pena di andare a votare. Avevo paura. Sapevo che i Taliban hanno minacciato rappresaglie. Ma ho voluto avere fiducia, per me stessa e per il paese. Ho pensato: forse il futuro dell’Afghanistan può cambiare, anche per un solo voto». Alle nove del mattino è uscita di casa sotto la pioggia, sfidando assieme il monito dei fondamentalisti e il fango della scarpata, e si è avvicinata al seggio,
nella moschea Gaghoria.
Accanto a lei c’era Maria, al suo primo voto di diciannovenne. Era emozionata e decisa, con il sorriso dell’altra generazione. Lei i barbuti che si facevano chiamare “Dipartimento per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio” non li ha mai conosciuti. Per lei, gli uomini non possono che essere come Abdulhakim, suo padre, base di ogni certezza e affetto anche per Jamila e per gli altri sette figli, dritto come un fuso nonostante i 62 anni e la barba candida.
Tutti e tre hanno infilato l’indice nell’inchiostro, hanno ritirato le schede, hanno segnato una crocetta accanto al nome di Abdullah Abdullah. «Ci fidiamo di lui. Lo sappiamo, non svenderà i diritti delle donne ai Taliban in cambio di un compromesso. O almeno, contiamo su di lui all’ottanta per cento», ride Jamila.
Sapevano benissimo che cosa c’era in palio ieri, le afgane in fila davanti ai seggi, anziane curve sotto il burqa e giovanissime con hijab e tacchi a spillo, madri sfiancate con i bambini attaccati al collo e contadine centenarie con la pelle cotta dal sole. Sapevano che il nuovo presidente afgano avrà un solo grande punto da decidere. Non farà il miracolo di riavviare l’economia dalla paralisi. Non potrà cambiare gran che nello scenario geopolitico. Non avrà la forza di stravolgere le regole più arcaiche della cultura afgana. Ma l’uomo che prenderà il posto di Hamid Karzai, se vorrà, potrà resistere alla tentazione di cedere i diritti di tutte loro: delle più povere, spettri timidi sepolti sotto il poliestere azzurro, come delle più ricche, padrone di casa orgogliose, con il rossetto e le unghie laccate. “Svenderle”, approfittando della progressiva disattenzione dell’Occidente, sarebbe una scorciatoia per un accordo con i Taliban, forse verso quella pace che tutti gli afgani sognano. Ma per loro sarebbe il ritorno al Medioevo.
Per questo erano oltre due milioni e mezzo, secondo la Commissione elettorale, le afgane che hanno celebrato i meccanismi della partecipazione, spingendo la scheda con le dita macchiate fino in fondo agli scatoloni di plastica con i sigilli verdi, le urne della giovane democrazia afgana. Lo schiaffo al fondamentalismo si è sentito chiaro e forte, sette milioni di persone l’hanno assestato con energia e con il sorriso, facendo segnare ai trionfanti funzionari di governo un insperato 58 per cento di affluenza e pochi incidenti.
Jamila ride, di un riso leggero: «Il tempo dei Taliban è finito». Chiediamo del ricordo più brutto, e lei continua a sorridere: «Una volta, era d’estate, ho comprato un gelato. Al mango, è il gusto che mi piace di più. Subito mi sono sentita arrivare una frustata sulla nuca. Era un Talib: considerava indecente l’idea che fossi entrata nella gelateria senza accompagnatori. Ho buttato via il gelato, sono andata via. Il gusto di mango mi piace, quello delle frustate molto meno». Solo per un momento la voce si abbassa e il sorriso si vela: «No, non lo sopporterei di vedere mia figlia frustata per un gelato. Per fortuna è finita».
Jamila guarda Maria con un’occhiata tenera. Per la nuova generazione, l’ipotesi di affrontare la frusta equivale a quella di viaggiare nel tempo: «Picchiare le donne? Non succede più. Io sto finendo il liceo, voglio andare all’università, studiare Informatica ». Maria le speranze le coltiva, è cresciuta lontana dai guardiani del vizio: «Voglio restare in Afghanistan, voglio diventare una persona colta e buona, voglio essere utile al mio paese, se ne avrò la possibilità. Mi fido del dottor Abdullah, almeno per quanto ci si può fidare di un candidato. Ha preso l’impegno di fermare le violenze contro le donne».
Persino Abdulhakim, orgoglioso della sua famiglia, è ottimista. E per sottolineare la sua fiducia, spiega in una frase tutto l’Afghanistan: «Credo anch’io che Abdullah si impegnerà per le donne. Altrimenti non le avrei lasciate andare a votarlo».

Per inviare la propria opinione alla Repubblica cliccare sulla e-mail sottostante

rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT