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Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.01.2017 Sobibor: il ciondolo perduto di Karoline Cohn; il popolo tedesco è colpevole
Commenti di Paolo Di Stefano, Giuseppina Manin

Testata: Corriere della Sera
Data: 20 gennaio 2017
Pagina: 19
Autore: Paolo Di Stefano - Giuseppina Manin
Titolo: «Dalle ceneri di Sobibor il ciondolo di Karoline, la nuova Anna Frank - La segretaria di Goebbels si confessa in un documentario choc»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/01/2017, a pag. 19, con il titolo "Dalle ceneri di Sobibor il ciondolo di Karoline, la nuova Anna Frank", il commento di Paolo Di Stefano; a pag. 44, con il titolo "La segretaria di Goebbels si confessa in un documentario choc", il commento di Giuseppina Manin.

Ecco gli articoli:

Paolo Di Stefano: "Dalle ceneri di Sobibor il ciondolo di Karoline, la nuova Anna Frank"

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Paolo Di Stefano

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Il ciondolo di Karoline Cohn - Anna Frank

Nella zona boscosa in cui il 16 maggio 1942 entrò in funzione il campo di sterminio nazista di Sobibór, in Polonia, 80 chilometri a est di Lublino, si scava da anni per portare alla luce gli oggetti che appartennero ai 300 mila ebrei condotti a morire nelle camere a gas. Qualche giorno fa, da quei lavori è emerso un ciondolo triangolare che porta la formula augurale «Mazal Tov» («buona fortuna» in ebraico), una data, 3 luglio 1929, e a stampatello maiuscolo il toponimo FRANKFURT A.M. Sull’altra faccia della medaglietta, si possono distinguere tre stelle di David. Con l’aiuto degli archivi digitali dello Yad Vashem, l’istituto di Gerusalemme per la Memoria della Shoah, i ricercatori hanno stabilito che l’unico nome, tra le vittime delle persecuzioni naziste, corrispondente alle indicazioni di nascita e di luogo impressi nella medaglia è quello di Karoline Cohn.

Si tratta di una ragazza nata da Richard ed Else e segnalata come dispersa nel ghetto di Minsk, in Bielorussia. L’ipotesi è che la giovane sia stata deportata da Francoforte a Minsk nel 1941 e da lì trasferita a Sobibór, dove potrebbe essere morta quattordicenne nel settembre 1943, subendo lo stesso destino dei 14 mila ebrei provenienti dai ghetti bielorussi evacuati in quei mesi. La scoperta che ha più sorpreso gli studiosi è l’esatta somiglianza tra il ciondolo di Karoline e un ciondolo posseduto da Anna Frank, messo in mostra nel 1980 e da allora conservato in una cassetta di sicurezza a Basilea. «La sola, ovvia, differenza — afferma il direttore dei lavori Yoram Haimi — è la data di nascita». Anna nacque a Francoforte poco prima di Karoline: il 12 giugno 1929.

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Scavi a Sobibor

La coincidenza colpisce perché, a detta degli esperti, non sarebbero noti altri esemplari analoghi di pendagli. Ora si tratta di ricostruire l’identità di Karoline Cohn e, insieme, l’origine dell’oggetto. Potrebbe essere una sorta di talismano diffuso all’epoca, in città, presso le coetanee di Anna e di Karoline? Ma allora come mai ne sono rimasti due soli reperti? Frediano Sessi, massimo studioso italiano del Diario e della vita di Anna, suggerisce di verificare se le due famiglie frequentavano la stessa sinagoga. C’è chi immagina, sulla base dell’affinità dei due oggetti, una vicinanza o frequentazione tra le due ragazzine. Ma bisogna considerare il fatto che la piccola Anna dovette lasciare molto presto Francoforte per raggiungere Amsterdam a 4 anni, tra fine 1933 e inizio ‘34.

Dunque? Nel Diario non mancano spille e spillette ricevute in regalo da Anna in varie occasioni, e l’unica presenza di un ciondolo (ma d’oro), probabilmente un amuleto, appunto, si trova in un passo del 12 gennaio 1944: «Qui tutto è peggiorato — scrive la ragazza alla sua amica immaginaria Kitty — insomma questo lo sai, e adesso è ora di baciare il mio ciondolo d’oro e pensare “ma in fin dei conti cosa me ne importa”, e di fare progetti per il futuro!». È certo, comunque, che la giovane Karoline, o chi per essa, come le migliaia di ebrei destinati alla morte a Sobibór, dovette denudarsi e liberarsi di ogni oggetto prima di avviarsi, con la testa rasata, verso le camere a gas. Sepolti lungo il «Sentiero per il Paradiso», come veniva chiamato beffardamente il viottolo finale, in questi anni sono stati trovati anelli, collane, dentiere, spille, orecchini. Gli stessi orecchini che, in una poesia di Montale, due «squallide mani» strappano dai lobi di una ragazza, vittima dei «ciechi tempi» come Anna e Karoline.

Giuseppina Manin: "La segretaria di Goebbels si confessa in un documentario choc"

Frau Pomsel, la segretaria di Goebbels che collaborò con il criminale nazista Goebbels fino alla fine, sostiene di aver soltanto obbedito agli ordini. Queste le sue parole: "Nessun senso di colpa. Se sono colpevole io lo è anche il popolo tedesco". Ebbene sì, cara Frau Pomsel, è proprio così: il popolo tedesco è responsabile per le azioni criminali del nazismo, e anche se nel Dopoguerra  c'è stata una  qualche forma di riflessione doverosa sulla adesione pressochè totale al nazismo, l'attenzione deve rimanere costante.

Ecco l'articolo:

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Giuseppina Manin

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Frau Pomsel

«Era così gentile, così elegante. Un gentiluomo». Che di nome faceva Joseph Goebbels, il ministro per la propaganda del nazismo, il numero due dopo Hitler. Ma per Brunhilde Pomsel lui era solo il suo capo: «Un bell’uomo, un po’ vanesio, aveva le mani curatissime», ricorda. Dettagli che a una segretaria perfetta come lei non sfuggivano. Dal ‘42 al ‘45 al suo fianco, pronta ad eseguire ogni ordine, mai sfiorata dal dubbio se quel che faceva fosse giusto o no.

«Era un lavoro come un altro, di quel che accadeva dietro la porta non sapevo nulla», è la tesi ribadita oggi da questa vecchia sorprendente per lucidità e memoria, che a 104 anni si è raccontata in A German Life , film-intervista di Christian Krönes, Olaf Müller, Roland Schrotthofer e Florian Weigensamer, in programma il 24 al Trieste Film Festival, e poi il 27 nelle sale per la Giornata della Memoria. Due ore di filmato in bianco e nero con tante sfumature di grigio nascoste nel volto di Frau Pomsel. Spietata, la cinepresa indugia su quel paesaggio di rughe, sulle pupille scure di quella testimone oculare del male e della sua banalità. Tutto ciò che ha visto sentito e negato affiora lì, in quel volto inguardabile da cui non si può staccare lo sguardo. «È un male se chi ricopre un certo ruolo cerca di fare qualcosa per sé, anche se danneggia altri?», si chiede. Certo che no, perché mettersi contro il potere, rischiare il posto e anche di più? Lei era stata cresciuta alla prussiana: «Obbedire, mentire, imbrogliare», parole d’ordine della generazione Nastro bianco di Haneke.

Piccoli nazisti crescono. «Mi sono iscritta al partito nazista. Per la tessera ho pagato 10 marchi». Ben spesi. Prima il posto alla Radio, poi al Ministero di Goebbels, dove ogni giorno si spedivano nei campi ebrei, gay e ribelli. «Non sapevo nulla, io battevo a macchina». Tra le sue mani passano fascicoli scottanti. Come quello di Sophie Scholl della «Rosa bianca». «Morta per un volantino antinazista. Se avesse taciuto sarebbe ancora viva». Certo, quando Goebbels si scatena dal palco incitando alla «guerra totale» anche lei resta sgomenta. «Un attore fenomenale, da persona civile si trasformava in un nano delirante». Lo seguirà anche nel bunker di Hitler. «Era la fine, si beveva per stordirsi. Poi i suicidi: il Führer, Goebbels e la moglie dopo aver avvelenato i bambini». Lei, Pomsel, se la cava con 5 anni di prigionia in Russia. Poi torna in Germania, riprende il posto alla Radio, si sposa. «Nessun senso di colpa. Se sono colpevole io lo è anche il popolo tedesco». Nella sua casa in Baviera ha appena compiuto 106 anni.

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