venerdi 19 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.11.2016 Mohammed Dahlan, l'unico politico dispobile per un dialogo
Commento di Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 novembre 2016
Pagina: 19
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Faida in Palestina: Dahlan dall'esilio insidia Abu Mazen»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/11/2016, a pag. 19, con il titolo "Faida in Palestina: Dahlan dall'esilio insidia Abu Mazen", il commento di Davide Frattini.

Israele guarda con interessa alla figura di Dahlan, non a caso ignorata dai giornali occidentali e invisa al regime di Abu Mazen e ai terroristi di Hamas. Se oggi c'è una sottile possibilità di dialogo da parte araba palestinese, questa passa per Dahlan, bene fa perciò Davide Frattini a scriverne.

Ecco l'articolo:

Immagine correlata
Davide Frattini

Immagine correlata
Mohammed Dahlan

Lungo le quattro rampe che fanno da sentiero in salita i curatori del mito hanno raccolto la keffiah bianca e nera, il revolver nella fondina di cuoio, i diari con le annotazioni fitte. Al costo di 7 milioni di dollari, il museo celebra Yasser Arafat e quasi dimentica il suo successore: Abu Mazen appare in qualche foto, quelle in cui cancellarlo si sarebbe notato troppo. Il palazzo inaugurato poche settimane fa commemora il leader scomparso nel 2004 e l’unità palestinese che se n’è andata con lui. L’edificio è stato costruito dentro il recinto della Muqata, dove Arafat ha vissuto gli ultimi 34 mesi circondato dalle macerie e dai carrarmati israeliani, «il campo della sua battaglia finale» come racconta la guida.

Dietro queste stesse mura, Abu Mazen combatte da ieri la sua di battaglia finale. Per la prima volta in sette anni ha deciso di convocare il congresso del Fatah: il partito fondato da Arafat e che ha dominato la politica palestinese è sempre più agitato, diviso tra vecchia e nuova guardia, tra chi considera Abu Mazen il garante della continuità e chi lo accusa di essere diventato un dittatore. Che ha cancellato a ripetizione le elezioni e che a lungo ha rinviato anche questo confronto con gli oppositori interni. I 1.400 delegati lo hanno già rivotato presidente del partito, un gesto scontato di rispetto per poter affrontare nei prossimi quattro giorni le sfide per il potere con l’elezione del comitato centrale.

Dall’assemblea dovrebbe uscire anche il nome di un vicepresidente, un numero due pronto a prendere il controllo se Abu Mazen — 81 anni, gran fumatore nonostante i problemi di cuore — dovesse cedere. Perché la legge prevederebbe che l’incarico passi ad Aziz Dwaik, il presidente del parlamento: sta in un carcere israeliano e soprattutto è un capo di Hamas. I fondamentalisti spadroneggiano nella Striscia Gaza e hanno preferito mandare a Ramallah i cimeli da esibire nel museo (come la medaglia per il Nobel per la pace ricevuta da Arafat) che lasciarci andare i rappresentanti di Fatah.

All’assemblea non è stato invitato Mohammed Dahlan, che la segue a oltre duemila chilometri di distanza, dall’esilio milionario negli Emirati Arabi. Il fisico asciutto di chi si allena 90 minuti ogni giorno, l’ex uomo forte dei servizi segreti non può ritornare in Cisgiordania da 5 anni. Abu Mazen lo accusa di tradimento, di complottare per deporlo, a Ramallah rischierebbe l’arresto. Eppure i Paesi del Golfo che lo ospitano e le altre nazioni arabe hanno puntato su di lui. «Lo so che Abu Mazen è spaventato, ha paura che Mohammed Dahlan ritorni», ha detto parlando di sé in terza persona al quotidiano New York Times . «Perché spaventato? Perché sa quello che ha combinato in questi dieci anni e lui sa che io so».

Ripete di non voler diventare presidente, ammette di voler avere un ruolo nel dopo Abu Mazen, anche se significa lasciare il lusso di Abu Dhabi e i tuffi all’alba nella piscina della sua villa. Una di quelle vasche infinity dove l’acqua tracima, all’apparenza senza bordo: così si è comportato il raìs secondo Dahlan, ha oltrepassato i limiti, «ha trasformato quel che resta dell’Autorità in una macchina per il controllo, ci sono segnali che stiamo diventando come il regime di Bashar Assad o quello di Saddam Hussein». I leader arabi sanno che Dahlan non è popolare in Cisgiordania e propongono una condivisione del potere: il presidente simbolo potrebbe essere Marwan Barghouti, che sta scontando cinque ergastoli con l’accusa di essere coinvolto negli omicidi di cinque israeliani, ed è considerato dai palestinesi l’erede di Yasser Arafat.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT