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Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.09.2016 Prevedibile Mogherini: non un'idea, solo banalità
Le racconta a Paolo Valentino

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 settembre 2016
Pagina: 14
Autore: Paolo Valentino
Titolo: «Mogherini: Nessuno Stato vincerà da solo. Su Esteri e Difesa ora c'è una linea comune»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/09/2016, a pag.14, con il titolo "Mogherini: Nessuno Stato vincerà da solo. Su Esteri e Difesa ora c'è una linea comune", l'intervista di Paolo Valentino.

Federica Mogherini dovrebbe essere intervistata ogni giorno, possibilmente da più testate, così non avrebbe più tempo da dedicarsi in concreto alla politica europea. Dopo averla nominata ministro degli esteri, ed essersi accorto dell'enormità dell'errore commesso, Matteo Renzi ne commise un altro, se possibile ancora più grande, la spedì a Bruxelles. Se ne era liberato, è vero - promoveatur ut amoveatur - arrecando però un danno gravissimo alle istituzioni europee. La foto abbracciata ad Arafat avrebbe dovuto insospettirlo sin dalla prima nomina.
Nell'inervista a Paolo Valentino, come nelle precedenti, ripete le solite banalità, condivise, purtroppo, da chi a Bruxelles l'ascolta. Nemmeno un'idea di progetto, solo banalità.

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Paolo Valentino         Bastava questa foto, invece...

«Non è una novità che tra gli Stati membri ci siano posizioni diverse, anche profondamente diverse, su temi come la crescita economica o l’immigrazione. Eppure c’è anche un terreno che ha tenuto a Bratislava, anzi si è consolidato, ed è quello della politica estera e di difesa comune. Sulla difesa abbiamo iniziato a costruire un nuovo assetto, sulla base di una politica estera che, a dispetto di certe semplificazioni, divisa non è». Federica Mogherini reagisce dura, quando le chiedo perché dovrebbe funzionare un ministro degli Esteri della Ue, in assenza di una vera politica estera comune. È stato Jean Claude Juncker a lanciare l’idea di un ministro degli Esteri, nel discorso sullo stato dell’Unione nel quale peraltro il presidente della Commissione ha elogiato il lavoro dell’Alto rappresentante per la politica estera. Non mi pare che sulla Russia ci sia una linea comune... «Abbiamo rinnovato le sanzioni due giorni fa all’unanimità. Il nostro lavoro con Mosca su Siria e Medio Oriente lo faccio a nome dei 28, senza mai alcun problema. La riapertura di canali di dialogo per noi essenziali l’abbiamo decisa tutti insieme. Ma è vero anche su tutti gli altri temi. Bisogna smettere di raffigurare divisioni anche dove non ci sono. A me non interessa che ci siano dichiarazioni diverse entrando al Consiglio, ma che ne usciamo con una linea politica comune. E questo sulla politica estera negli ultimi due anni è sempre avvenuto perché sappiamo che soltanto uniti possiamo avere influenza nel mondo. Credo che Juncker, e lo ringrazio per questo, volesse richiamare gli Stati membri a continuare a lavorare per rafforzare l’immagine e la capacità esterna della Ue». Juncker ha anche chiesto per lei un posto al tavolo del negoziato sulla Siria. Basterebbe a farlo avanzare? «Al tavolo negoziale già ci siamo, parte del Gruppo di supporto, nato anche grazie all’iniziativa della Ue. Juncker ha detto un’altra cosa: che l’Ue dovrà avere un ruolo di primo piano al tavolo per il futuro della Siria, diverso da quello in piedi oggi dove si cerca innanzitutto l’accordo militare tra russi e americani per poi aprire la trattativa politica. E in verità abbiamo già iniziato a svolgerlo in modo riservato. Lunedì a New York, in margine all’Assemblea generale, con i ministri degli Esteri della Ue e con Staffan de Mistura incontreremo gli interlocutori siriani con i quali abbiamo lavorato durante l’estate». Lei ha presentato un piano da 3,5 miliardi di euro, che dovrebbe generare investimenti esterni per 44 miliardi nei Paesi dell’Africa e del Mediterraneo. Con quali obiettivi? «Il piano ha due scopi principali: primo portare investimenti europei in Paesi chiave, in particolare dell’Africa, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo, ridurre la povertà e migliorare la gestione dei flussi migratori; secondo sostenere l’economia della Ue portando i nostri investitori in quelle realtà. È un modo innovativo di usare gli strumenti di politica estera europea anche per facilitare e sostenere la crescita in Europa. Si basa sullo stesso principio del Piano Juncker per gli investimenti all’interno: usiamo fondi europei per fornire garanzie alle aziende private, rispetto ai rischi d’investimento e agendo da moltiplicatore». Quali sono le chance che un piano così ambizioso venga accolto, mentre non c’è consenso neanche sull’emergenza, come la ricollocazione dei rifugiati? «Che tra gli Stati membri ci sia uno stallo sulla realizzazione di accordi già presi, non significa che dobbiamo stare fermi sul resto, come gli investimenti o i “migration compact” avviati all’inizio dell’estate con cinque Paesi africani per gestire i flussi migratori in modo sostenibile. Se posso dire, questo piano toglie anche alibi agli Stati membri, che parlano sempre della necessità di risolvere il problema delle migrazioni nel lungo termine e nei Paesi d’origine». Il Consiglio europeo sta discutendo un piano franco-tedesco per una politica di difesa europea, che contiene anche proposte da lei formulate nella sua Global Strategy. «Non è così, è piuttosto il contrario: l’iniziativa di Francia e Germania è a sostegno della nostra proposta. Nella Global Strategy ci sono indicazioni per sviluppare un piano sulla difesa europea a 28. In agosto ho presentato le proposte per la sua realizzazione ai ministri degli Esteri. Lo stesso farò fra una settimana a Bratislava con quelli della Difesa. Entro novembre prenderemo una decisione, che porterò al Consiglio europeo di dicembre. Questo è quanto stiamo facendo a 28. Le proposte, non solo quelle di Francia e Germania ma anche dell’Italia, riprendono esattamente le cose che ho proposto nella Global Strategy». Però c’è una dinamica conflittuale che tende a privilegiare la collaborazione fra governi a scapito del ruolo della Commissione. «Io vedo cose diverse. Vedo ministri degli Esteri, della Difesa e commissari che lavorano in modo coordinato, senza distanza tra quello che prepara la Commissione e quello che fanno i governi. Il lavoro comune sulla difesa europea ne è l’esempio perfetto, non vedo contrapposizione. E mi auguro che nel rilancio della Ue a 27, che dovrà esserci a partire dalle celebrazioni per i 60 anni del Trattato di Roma nel prossimo marzo, questa dinamica conflittuale non ci sia. La verità è che nessuno, dico nessuno degli Stati membri ha le risorse e le capacità per gestire da solo le sfide che abbiamo davanti. Il paradosso è che più il mondo è globale, più gli Stati europei possono esercitare sovranità solo agendo insieme. Fare parte dell’Unione non è cedere sovranità, ma l’unico modo per riconquistarla davvero».

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