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Corriere della Sera Rassegna Stampa
11.08.2016 Turchia: con Erdogan sempre più lontana dall'Europa
Editoriale di Angelo Panebianco

Testata: Corriere della Sera
Data: 11 agosto 2016
Pagina: 1
Autore: Angelo Panebianco
Titolo: «Il sultano, l'islam e i suoi fratelli»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/08/2016, a pag. 1-26, con il titolo "Il sultano, l'islam e i suoi fratelli", l'editoriale di Angelo Panebianco.

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Angelo Panebianco

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Erdogan: un ponte per i terroristi islamici che vogliono raggiungere l'Europa

Hanno quasi sicuramente ragione coloro che sostengono che dall’incontro fra Putin ed Erdogan non nascerà un’alleanza stabile fra Russia e Turchia in funzione antioccidentale. Le forti affinità fra i due autocrati, e fra le rispettive democrazie autoritarie, non bastano a cancellare i molti punti su cui i loro interessi (questione siriana in testa) divergono. Così come è giusto ricordare che la Turchia non può permettersi, per ragioni sia economiche che geopolitiche, di rompere definitivamente con gli Stati Uniti e con l’Unione Europea. Non nascerà insomma, un «asse» Ankara-Mosca simile a quello fra Roma, Berlino e Tokyo formalizzato nel 1940. Però la novità c’è e il messaggio che Erdogan ha voluto mandare agli Stati Uniti e all’Europa non va sottovalutato. Il messaggio è il seguente: quando era ancora viva e dominante la Turchia creata da Mustafa Kemal Ataturk a partire dal 1923, la Turchia laica, europea, che si ispirava a modelli occidentali, l’alleanza con l’Occidente (appartenenza alla Nato, volontà di ottenere definitivamente la «patente» di Paese europeo entrando a far parte dell’Unione) era naturale e inevitabile.

Ma ora che la Turchia di Ataturk, la Turchia europea, è in rotta, e coloro che l’hanno animata sono nelle mani degli sgherri del presidente turco o comunque ridotti all’impotenza e al silenzio, il nascente sultanato islamico ci sta dicendo che, d’ora in poi (ma per la verità Erdogan ce lo ha già fatto capire da alcuni anni) non ci saranno mai più alleanze «naturali», scontate e stabili con gli occidentali, dai quali la società turca si va sempre più allontanando.

Ci saranno solo momentanee convergenze di interessi, da contrattare volta per volta. Conseguenza della crescente estraneità culturale fra la Turchia e l’Occidente, conseguenza di quella ri-islamizzazione della società turca, iniziata con la conquista elettorale del potere da parte del partito islamico nel 2002, favorita e condotta in modo prudente e strisciante per diversi anni, e ora nettamente accelerata a seguito del vittorioso contro-colpo di Stato di Erdogan. Spetta agli specialisti, ai conoscitori della società turca, rispondere a un quesito: Erdogan riuscirà a schiacciare definitivamente la Turchia europea, la Turchia laica erede di Ataturk? Certamente, egli ha oggi dalla sua la maggioranza del Paese. È grazie alle masse islamiche, oggi maggioritarie, che Erdogan ha conservato il potere contro i militari. Ma che ne sarà di quella cospicua, assai numerosa, minoranza (quasi la metà del Paese) figlia di un secolo di politica laica, che ne sarà della Turchia che non ha fin qui mostrato alcuna voglia di ri-islamizzarsi? Basteranno le brutali epurazioni del regime a piegarla definitivamente? È questa la chiave per capire come si muoverà sulla scena internazionale la Turchia del futuro.

Se Erdogan non riuscisse a consolidare il suo potere a causa della impossibilità di soggiogare completamente la parte non islamica del Paese, allora la sua debolezza interna si riverbererebbe sulla sua azione internazionale: probabilmente favorendo, come è frequente quando i governi autocratici sono deboli, avventurismi e varie esplosioni di aggressività internazionale. Se invece il sultanato islamico si consoliderà, se la Turchia europea verrà definitivamente spazzata via, allora bisognerà fare i conti con l’apparizione di una nuova potenza che, come ha fatto a lungo l’Iran sciita, userà la religione per alimentare «scontri di civiltà», per porsi come potenza-guida della rivoluzione islamista. Diventerà in tal caso molto complesso il rapporto fra Turchia e mondo occidentale. Come conciliare, ad esempio, islamismo militante e permanenza nella Nato? Il realismo imporrebbe di essere molto cauti al riguardo.

Per molte ragioni di carattere strategico, ivi compreso il rischio che il neo-sultanato islamico si impadronisca delle armi nucleari presenti nelle basi della Nato sparse sul suo territorio. Al tempo stesso, sarebbe complicato trattenere nella Nato, mettendolo a parte dei segreti dell’organizzazione, un Paese che, a quel punto, non potrebbe più fare mistero della propria vocazione antioccidentale. Se il sultanato islamico si consolidasse, ci sarebbe anche un grosso problema per l’Europa. La Turchia diventerebbe il grande sponsor, protettore politico e finanziatore, di quei Fratelli musulmani che sono ben radicati nell’Islam europeo. Dopo il colpo di Stato che ha estromesso la Fratellanza dal potere in Egitto, Erdogan è rimasto il loro principale punto di riferimento. A differenza degli occidentali, essi non possono che applaudire la sua azione repressiva. È del resto naturale e comprensibile: per l’Islam politico, Ataturk e la sua eredità erano una aberrazione. Da cancellare, da spazzare via con ogni mezzo. Se il sultanato islamico si consolidasse, i rapporti fra i suoi sostenitori e le società europee in cui essi vivono diventerebbero piuttosto complicati.

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