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Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.05.2016 Sadiq Khan: freniamo gli entusiasmi preventivi
Analisi di Bernard-Henri Lévy

Testata: Corriere della Sera
Data: 14 maggio 2016
Pagina: 21
Autore: Bernard-Henri Lévy
Titolo: «Con l'elezione di Sadiq Khan perde l'islam intollerante»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/05/2016, a pag. 21, con il titolo "Con l'elezione di Sadiq Khan perde l'islam intollerante", l'analisi di Bernard-Henri Lévy.

Vedremo quello di cui sarà capace il neoeletto sindaco di Londra Sadiq Khan. La sua figura politica, però, è espressione di una deriva estremista del partito laburista di Jeremy Corbyn - una deriva che ha presto fatto emergere decine di casi di esplicito entisemitismo.

Ecco l'articolo:

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Bernard-Henri Lévy

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Sadiq Khan

A Londra, l’uomo del momento è evidentemente Sadiq Khan, di origine pachistana e di confessione musulmana, appena eletto sindaco della città. Esistono vari modi di vedere le cose. Si può pensare alla serie di torti che il suo avversario conservatore ha sottolineato, legittimamente, per tutta la durata della campagna elettorale: il meeting del settembre 2004 tenuto con islamisti radicali sotto l’egida della pro-palestinese Associazione degli amici di Al Aqsa; l’intervista del 2009 alla televisione iraniana, in cui paragonava a tanti «zio Tom» i musulmani moderati dell’Inghilterra; o i contatti con uomini poco raccomandabili come l’egiziano Yasser Al Sirri (autore, fra l’altro, di una dichiarazione sulla «morte onorevole» di Bin Laden), come il militante pro-Jihad Sajeel Abu Ibrahim (probabile istruttore in un campo di addestramento in Pakistan), o come Yusuf Al Qaradawi (teologo del Qatar, predicatore su Al Jazeera e legato all’ala più radicale dei Fratelli musulmani).

Si può ascoltare quel che l’interessato, ogni volta, ha risposto: che non sempre si sa, in anticipo, con chi si condividerà la tribuna di un comizio; che l’intervista alla televisione iraniana fu un errore, e presenta quindi le più umili scuse a chi fra i suoi correligionari si è sentito ferito dalle sue parole sullo schiavo nero del romanzo di Harriet Beecher Stowe; che, a proposito del predicatore di Al Jazeera, anche l’ultimo degli uomini ha diritto a un avvocato e che il loro è sempre stato un normale rapporto tra l’avvocato e il suo cliente. Vero? Falso? Diventare il primo sindaco musulmano di una capitale europea valeva, non una messa, ma un arrangiamento con i fatti? Difficile saperlo. Ma che Sadiq Khan tenga a dirlo, vi metta tanta insistenza e tanta energia, prenda con tale vigore le distanze dal movimento islamista che gli è potuto capitare di sfiorare è, nel peggiore dei casi, un omaggio del vizio alla virtù e, nel migliore dei casi, una ritrattazione dell’uomo che fu da parte dell’uomo che è diventato e che non ha più la benché minima indulgenza per il passato ambiguo.

Quel che è certo invece — ed è un terzo modo di affrontare il problema — è che quest’uomo dalle frequentazioni potenzialmente pericolose è stato anche capace, durante gli stessi anni, di rimanere fermo sul principio della compatibilità possibile e, in Europa, necessaria, dell’Islam e della laicità; che è sempre stato intransigente sulla questione cruciale delle donne, della loro uguaglianza di diritto e di fatto con gli uomini, come anche sul malessere provocato dallo spettacolo, per le strade di Londra, di un numero crescente di niqab e di hijab , abbigliamento che impedisce di parlarsi faccia a faccia. Quel che è certo, infine, è che la sua presa di posizione in favore del matrimonio gay gli è valsa una fatwa per apostasia da parte del temibile capo imam della moschea di Bradford. Si dirà che è il minimo che potesse accadere? Che c’era da aspettarselo, nel Paese di Churchill, da parte di un dirigente dei laburisti destinato a un certo avvenire? Probabilmente. Ma bisognava comunque esser capaci di farlo; ed occorre riconoscere che in queste materie l’uomo non ha ceduto alle facilità di un comunitarismo che in Inghilterra è abituale.

Non c’è dubbio, inoltre, che la sua posizione sia stata fra le più degne di fronte all’ondata di antisemitismo abbattutasi sul suo partito: non abbiamo forse visto una ex deputata stigmatizzare, sui social network, il «naso» degli ebrei inglesi? E un’altra proporre di rilocalizzare Israele negli Stati Uniti? Non abbiamo sentito il carismatico Ken Livingstone assimilare il sionismo al nazismo, poi Jeremy Corbyn, il leader del Partito, rifiutare, in un dibattito con il Primo ministro, di prendere le distanze dai suoi «amici» di Hezbollah e di Hamas? E non c’è stata nelle ultime settimane una sorta di gara a chi andava più lontano sul cammino dell’islamo-gauchismo, che sembra una pesante tendenza della sinistra europea, ma che è diventata una specialità dei conservatori inglesi? Ebbene, Sadiq Khan ha saputo trovare parole di forte condanna nei confronti di questo socialismo degli imbecilli made in England che alcuni volevano attribuire a un inoffensivo appoggio ai dannati della terra palestinesi, fino alla riprovazione in atto che riguarda il suo primo gesto da sindaco: quello di aver voluto onorare, domenica scorsa, accanto al rabbino capo di Londra e all’ambasciatore di Israele, la memoria di sei milioni di ebrei assassinati dai nazisti.

Insomma, tutto questo per dire che occorre essere vigili, naturalmente, ma che l’elezione di Sadiq Khan può e deve essere letta, nel quadro generale della guerra dei due Islam di cui parlo tanto spesso, come una vera vittoria dell’Islam dei Lumi contro l’Islam «del buio», retrogrado e intollerante. Ricordate la predizione di Michel Houellebecq che nel suo ultimo romanzo annunciava l’elezione, nel 2022, di un presidente della Repubblica proveniente da un partito musulmano? Ebbene, ci siamo. Solo che lo scenario è l’inverso di quello del romanziere. Sadiq Khan è un anti-Tariq Ramadan. È il contrario di Omar Sheykh, l’altro londinese di origine pachistana che fu l’artigiano della messa a morte del giornalista Daniel Pearl. E quello a cui assistiamo, con lui, non è la «sottomissione» della democrazia all’Islam ma quella, al contrario, dell’Islam a una democrazia che può fregiarsi di averlo non solo accolto, ma aiutato a riformarsi.

(traduzione di Daniela Maggioni)

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