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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.02.2016 Gaza: la miseria è dovuta al governo terrorista di Hamas
Reportage di Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 febbraio 2016
Pagina: 15
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Gaza: l'inverno senza gas gela anche il futuro»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/02/2016, a pag. 15, con il titolo "Gaza: l'inverno senza gas gela anche il futuro", il commento di Davide Frattini.

Se le condizioni umanitarie nella Striscia di gaza sono difficili - e lo sono - la responsabilità non è di Israele, ma unicamente dei terroristi di Hamas che da dieci anni opprimono la Striscia tenendola sotto il pugno di ferro della teocrazia islamica e di una guerra eterna contro gli ebrei (non israeliani, ebrei), che lo statuto stesso di Hamas prescrive di uccidere ovunque si trovino.

Ecco l'articolo:

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Davide Frattini

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La causa della miseria a Gaza: Hamas

La «Dolphin I» sta spiaggiata sul la sabbia gri gia del porto di Gaza , a ren at a come le speranze dei palestinesi di arricchirsi con quel tesoro a 850 metri di profondità nel Mediterraneo. Sedici anni fa Yasser Arafat è salito su questa nave, superando il mal di mare e rischiando di perdere la keffiah nel vento, per accendere la fiaccola con il primo combustile portato in superficie dai test. Là sotto — sostengono gli ingegneri britannici del gruppo BG che aveva vinto la concessione per sfruttare Gaza Marine — ci sono 32 miliardi di metri cubi in gas naturale, valore stimato quattro miliardi di dollari. «È un dono di Allah al nostro popolo. Fornirà le fondamenta per la nascita di uno Stato», proclama Arafat. Poche settimane dopo scoppia la seconda Intifada e a prosperare è solo la violenza.

Mohammed Jaja mostra le bombole arrugginite, sono vuote come le stanze di questa casa buia anche quando c’è il sole, campo rifugiati di Shati — la Spiaggia — un nome che in inverno significa lo sfavore del vento gelido dal mare. Sono due mesi che aspetta di poterne riempire almeno quattro, ha pagato in anticipo i 35 shekel (8 euro) a bombola, un patrimonio a Gaza dove il 40 per cento della popolazione sopravvive sotto la soglia di povertà, quegli 1,90 dollari al giorno fissati dalla Banca Mondiale per contabilizzare la miseria. Mohammed faceva l’imbianchino, è disoccupato (come il 43,9 per cento degli abitanti), in famiglia sono in nove. «Tiriamo avanti con questo fornello a kerosene: lo usiamo per cucinare, per provare a scaldarci, per bollire l’acqua e lavarci». Il gas da cucina manca ad Ahmed e a tutta la Striscia, non ne arriva abbastanza, quel poco viene usato anche per far marciare le auto, di benzina e gasolio ce ne sono ancora meno. A nche nell’ufficio di Ahmed Abu Ala Alamrain, che pure lavora all’altisonante Autorità per l’Energia e le Risorse naturali, l’elettricità va e viene. L’unica centrale di Gaza riesce a dal nostro in viato a Gaza Davide Frat tini funzionare a metà del potenziale e comunque a pie no re gim e potrebbe coprire solo il 22 per cento delle esigenze, il resto viene fornito da Israele (26 per cento) e dall’Egitto (6 per cento): totale 43 per cento. Quel che manca significa sei-sette ore di elettricità al giorno per 1,8 milioni di persone. O lasciando da parte i numeri: vivere al buio, al freddo d’inverno e al caldo asfissiante d’estate.

«La centrale funziona a gasolio — spiega Alamrain — e per i rifornimenti dipendiamo da Isr aele, che ci s chiaccia con l’embargo, e dall’Autorità palestinese: a Ramallah sborsiamo una tassa sul combustibile, negli ultimi sei mesi era stata abolita, adesso vogliono il 20 per cento del valore. Non tengono conto di quel che già abbiamo pagato per il gasolio non ancora ricevuto». Altri dirigenti sono più espliciti: «La centrale è una calamità per Gaza, se non fosse stata costruita potremmo importare l’elettricità direttamente dalla rete israeliana e ci costerebbe meno». Perché il governo palestinese e il presidente Abu Mazen — accusano dalla Striscia — sfruttano l’impianto (che nei 59 giorni di guerra dell’estate 2014 è stato bombardato dagli israeliani) e la distribuzione di gasolio come mezzi di pressi one polit ica su H amas, il movimento fondamentalista che nel 2007 ha tolto il controllo di Gaza ad Abu Mazen con un colpo militare. Da Ramallah replicano che Hamas non consegna i soldi raccolti con le bollette (in realtà l’ 80 per cento delle famiglie non paga). La soluzione starebbe a meno di trenta chilometri al largo.

Già Tony Blair, quando era inviato del Quartetto, progettava di far passare la sua «road map» sotto il Mediterraneo. L’ex premier britannico resta convinto che i guadagni prodotti dal giacimento di gas naturale Gaza Marine possano rilanciare l’economia palestinese e il processo di pace. È quello che scrive anche il Parlamento europeo in un dossier dell’aprile 2014: «Lo sfruttamento del bacino rappresenterebbe un vantaggio per entrambi. I palestinesi potrebbero finalmente ridurre la dipendenza dagli aiuti internazionali, gli israeliani non dovrebbero più fornire l’energia per Gaza e la Cisgiordania rischiando di non essere pagati». Finché è stato inviato del Quartetto, Blair ha spinto il gruppo BG a negoziare con i governi israeliani e il presidente Abu Mazen per far partire il progetto, un gasdotto avrebbe trasportato il combustibile alle raffinerie del porto di Ashkelon e da lì sarebbe stato distribuito ai palestinesi e venduto allo Stato ebraico.

In mezzo ci sono state un paio di guerre con Israele che hanno bloccato le trattative e in ogni caso Hamas si è o ppo sta: «Sarebbe un furto, una moderna dichiarazione Balfour che svende una risorsa nazionale all’occupante», ha attaccato Ziad Zaza, tra gli economisti del movimento. È una risorsa palestinese da quando gli accordi di Oslo che i fondame ntali sti non riconoscono l’hanno garantita a Yasser Arafat e all’Autorità di Ramallah, intesa confermata da Ehud Barak nel 1999. Adesso che le pressioni vengono dal Qatar e che la crisi energetica di Gaza diventa sempre più grave, i leader Hamas potrebbero cambiare idea. Mohammed al-Hamadi, ambasciatore dell’emirato e incaricato della ricostruzione nella Striscia, ha rilanciato l’idea di una condotta con cui gli israeliani riforniscano la centrale elettrica per ora con il gas trovato al largo delle loro coste, sempre nel bacino del Levante. L’obiettivo per il futuro è cominciare l’estrazione da Gaza Marine — secondo gli esperti ci vorrebbero 30 mesi — e le eccedenze sarebbero vendute: tra i compratori ci sarebbe gi à la Gi ordani a. B enjami n Netanyahu, il pr imo ministro israeliano, chiede i n cambio assicurazioni che i profitti siano gestiti da Abu Mazen e non finiscano ad Hamas. «Altrimenti servono solo a pagare la prossima guerra contro di noi».

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