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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.11.2015 Islam in Italia: a Varese sei studentesse musulmane non fanno il minuto di silenzio, nelle carceri episodi sospetti dopo la strage di Parigi tra i 10 000 musulmani reclusi
Cronache di Claudio Del Frate, Giovanni Bianconi

Testata: Corriere della Sera
Data: 19 novembre 2015
Pagina: 14
Autore: Claudio Del Frate - Giovanni Bianconi
Titolo: «Le sei ragazze musulmane che non fanno il minuto di silenzio - Quell'urlo in carcere: 'Allah akbar': misure più dure per 87 detenuti»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 19/11/2015, a pag. 14, con il titolo "Le sei ragazze musulmane che non fanno il minuto di silenzio", la cronaca di Claudio Del Frate; a pag. 15, con il titolo "Quell'urlo in carcere: 'Allah akbar': misure più dure per 87 detenuti", la cronaca di Giovanni Bianconi.

Ecco gli articoli:

Claudio Del Frate:  "Le sei ragazze musulmane che non fanno il minuto di silenzio"

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Claudio Del Frate

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Sei ragazze decidono di non commemorare le vittime delle stragi di Parigi. Sei alunne di un istituto tecnico di Varese, tutte musulmane, figlie di immigrati nordafricani, lunedì mattina si sono alzate dal banco e sono uscite dall’aula durante il minuto di silenzio che nelle scuole d’Italia doveva rendere omaggio ai morti del Bataclan, dello Stade de France, dei bar parigini e di tutti i luoghi spesso affollati da loro coetanei. Un gesto plateale e isolato, del tutto controcorrente. Il fatto è accaduto all’istituto per periti commerciali «Daverio». Una realtà di 1.800 ragazzi, con un alto tasso di stranieri che arrivano da mezza provincia di Varese. Il clamore del gesto è stato tale che è stato oggetto di discussione persino al comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza ogni settimana convocato in prefettura e anche la Digos ha avviato accertamenti. Le ragazze hanno tutte 15 anni; un sesto ragazzo nordafricano, loro compagno di classe, è rimasto al suo posto rispettando il silenzio.

La polemica è arrivata sui social network con commenti che hanno subito condannato senza mezzi termini l’atto di ribellione con parole crude e talvolta irriferibili, arrivando a chiedere l’allontanamento dall’Italia delle ragazze e delle loro famiglie. Ma Nicoletta Pizzato, preside dell’istituto «Daverio» legge l’episodio non in chiave fondamentalista ma alla luce delle inquietudini tipiche dell’adolescenza. «Volevano capire perché commemorare solo Parigi e non l’aereo russo o Beirut — ha detto la docente all’ Ansa — il gesto è stato una richiesta di aiuto a capire quale sia la discriminante nella valutazione dei morti; la scuola deve educare, formare e raccogliere gli interrogativi posti dagli alunni». Raccontano che le sei ragazze, finito il minuto di silenzio, siano rientrate in classe e sul loro gesto sia immediatamente partito un dibattito tra i ragazzi e i professori. Ma resta l’interrogativo di fondo: come possa essersi acceso nell’animo di sei giovanissime un imperativo talmente forte da spingerle a un simile gesto di disobbedienza davanti ai compagni con cui condividono ogni giornata.

Giovanni Bianconi:  "Quell'urlo in carcere: 'Allah akbar': misure più dure per 87 detenuti"

Le carceri in Italia stanno diventando in molti casi autentiche scuole di estremismo islamico. E' tempo di cominciare a reagire a una situazione che altrimenti sarà sempre più difficile da gestire.

Ecco il pezzo:

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Giovanni Bianconi

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Nel carcere di Viterbo, a un detenuto di religione musulmana già segnalato come incline alle sirene della propaganda estremista, sono state trovate cartoline raffiguranti piazza Navona, Trinità dei monti e Fontana di Trevi, immagini che hanno acceso un campanello d’allarme. A Pisa un altro recluso portato in infermeria ha avuto un diverbio con il personale che lo stava curando e ha reagito dicendo: «Spero che vi accada quello che è successo in Francia». A Parma sono stati sequestrati manoscritti in lingua araba considerati «meritevoli di attenzione», e così a Bolzano; a Spoleto, la notte del 13 novembre, dalla cella di tre tunisini s’è levato il grido «Allah akbar». Anche a Civitavecchia qualcuno ha urlato quella frase, insieme a epiteti contro i francesi, mentre a Pisa un detenuto ha indossato una maglietta con scritto «Parigi», destando qualche sospetto. Sono alcuni degli episodi verificatisi nelle galere d’Italia all’indomani delle stragi del venerdì 13, segnalati dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria alla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo.

La mattina di sabato 14, prima ancora di partecipare alla riunione dei Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza convocato d’urgenza, il capo del Dap Santi Consolo ha diramato un «allertamento urgente» a tutti gli istituti per sollecitare il personale «a proseguire nell’attività di osservazione per individuare eventuali segnali di proselitismo e radicalizzazione». Senza trascurare «alcun segnale di pericolo»; il che significa comunicare ogni fatto o comportamento, compreso il più apparentemente irrilevante, che possa indicare «adesione anche indiretta ai tragici eventi» di Parigi, come specificato ancora ieri. Da tempo le carceri sono considerate il principale bacino da controllare nell’attività di contrasto al terrorismo di matrice islamica. Per un semplice e banale motivo di numeri. Secondo i dati aggiornati al 31 ottobre scorso, su un totale di 52.434 detenuti, 17.342 sono stranieri. Uno su tre. Di questi, circa 10.000 provengono da Paesi di religione musulmana, e in questa quota (il 20 per cento del totale) ce ne sono 7-8.000, distribuiti nei quasi 200 istituti, che partecipano alle preghiere collettive.

Un universo dove si concentrano le personalità e le storie più diverse, la propaganda radicale può attecchire più facilmente che altrove. Agevolata dallo status e dalle condizioni di detenzione. Per provare a controllare e contrastare questo rischio, l’Amministrazione penitenziaria ha preso le sue contromisure. Per esempio applicando anche ai detenuti di fede islamica classificazioni a cui corrispondono regimi più restrittivi, a seconda del grado di pericolosità. I 29 reclusi accusati di terrorismo e reati connessi rientrano — al pari dei sovversivi nostrani, anarchici e militanti No Tav coinvolti in attività di sabotaggio — nel circuito «Alta sicurezza 2», subito sotto quello «As1» riservato ai mafiosi che provengono dal «41 bis». Altri 58, non inquisiti per attività eversive ma soprattutto per traffico di droga, sono in «Alta sicurezza 3», con restrizioni appena minori. Il resto della massa s’immerge nel mare magnum della detenzione comune, e dunque il controllo si sposta nei luoghi di aggregazione e di preghiera.

A questo scopo il Dap ha appena siglato un protocollo d’intesa con l’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche in Italia, per avere «una lista di persone interessate a prestare la propria opera di volontario nelle carceri in qualità di ministri di culto (imam) e mediatori interculturali»; una sorta di sigillo di garanzia su persone che possano gestire le preghiere che attualmente si recitano nelle 52 stanze adibite a moschea in altrettante prigioni, o in singole celle o locali improvvisati in altri 132 istituti. L’esperimento comincerà dagli otto istituti con la maggior presenza di musulmani: Verona, Modena, Torino, Cremona, due a Milano, Brescia e Firenze. Contemporaneamente sono state avviate le procedure per l’identificazione certa durante la detenzione, in modo da procedere all’espulsione (quando necessaria) subito dopo il fine pena. Senza le lunghe attese nei centri di accoglienza, altri luoghi a rischio «proselitismo e radicalizzazione».

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