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Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.11.2015 Quel che resta dell'Occidente
Editoriale di Angelo Panebianco, commento di Guido Olimpio

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 novembre 2015
Pagina: 1
Autore: Angelo Panebianco - Guido Olimpio
Titolo: «L'Occidente disunito - Quello che (ancora) non sappiamo»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/11/2015, a pag. 1-28, con il titolo "L'Occidente disunito", l'editoriale di Angelo Panebianco; a pag. 11, con il titolo "Quello che (ancora) non sappiamo", il commento di Guido Olimpio.

Ecco gli articoli:

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Angelo Panebianco: "L'Occidente disunito"

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Due domande ritornano in molti commenti angosciati dopo la strage di Parigi. La prima riguarda il futuro delle libertà nell’Europa aggredita.Ci diciamo che sono proprio le nostre libertà, levatrici di un modo di vivere che dal loro punto di vista è corrotto e blasfemo, che i terroristi islamici vogliono distruggere, e anche per questo dobbiamo difenderle. È giusto ma, purtroppo, ciò che è vero in linea di principio fatica ad esserlo anche in pratica. Nessuno sa come conciliare libertà e sicurezza nel momento in cui la sicurezza subisca un vulnus così pesante. Nelle guerre convenzionali del passato anche le democrazie erano costrette a ridurre l’area delle libertà (censura, controllo degli spostamenti e della corrispondenza, coprifuoco). Solo quando la guerra finiva si poteva invertire la tendenza.

Le leggi antiterrorismo approvate in Francia e quelle in via di approvazione in molti Paesi europei, ci dicono che andiamo verso restrizioni sensibili della libertà. Dopo Parigi, è difficile che questo processo possa essere bloccato: l’Europa dell’età del terrorismo sarà purtroppo meno libera di quella che abbiamo conosciuto. Si spera almeno che alla limitazione delle libertà imposta dai governi non si affianchino anche movimenti «spontanei» nella stessa direzione. La paura fa brutti scherzi, spinge al conformismo. Dopo il dolore e lo sgomento dei primi momenti, c’è il rischio che mass media, intellettuali, educatori, scelgano di imporre il silenzio sui temi che più scottano: il contrario di quella battaglia culturale che, giustamente, Ernesto Galli della Loggia (sul Corriere di ieri) ritiene indispensabile per contrastare le menzogne dell’estremismo islamico. La Francia, d’altra parte, prima della strage, aveva già dato prove di disponibilità al conformismo (i processi per islamofobia ne sono un esempio).

La combinazione di pensiero politicamente corretto e di paura è una miscela micidiale (non solo in Francia, in tutta Europa), può spingere verso l’imposizione di una censura più implacabile di quella che sarebbe in grado di attuare un governo: alimentata soprattutto dalla paura collettiva. La seconda domanda è collegata alla prima. Avremo la coesione necessaria per fronteggiare coloro che ci hanno dichiarato guerra? Di «guerra» ha parlato il presidente Hollande dopo la strage. Prima di allora (anche dopo l’attentato di Charlie Hebdo ) nessun leader europeo si era arrischiato a usare quella parola. Guardiamo ai fatti. Ci si rallegra giustamente perché al vertice del G20 in Turchia, americani e russi sembrano avere trovato un accordo per contrastare lo Stato Islamico.

E anche perché nei colloqui di Vienna fra le parti interessate sia iniziato un percorso — che tutti sanno comunque in salita — per trovare una soluzione diplomatica alla questione siriana. In tempi di disperazione è giusto aggrapparsi a qualunque cosa. Ma non si possono nascondere le difficoltà. Sulla carta, la posizione di Obama è giusta: lo Stato Islamico (sunnita) deve essere sconfitto soprattutto dai sunniti. Se fossero le potenze occidentali più la Russia, più l’Iran sciita, a distruggerlo, sarebbe difficile non antagonizzare i sunniti, che sono maggioranza nel mondo islamico. In pratica, è però difficile, ad esempio, che l’Iran accetti di svolgere un ruolo secondario. Altrettanto difficile è che certi Stati sunniti (come la Turchia, nemica di quei curdi che, unici sul terreno, combattono il Califfato) si impegnino a fondo in questa guerra. La coalizione militare è troppo ampia e troppo diversificati sono gli interessi.

Forte resta anche, come sempre nelle coalizioni ampie, la tentazione dello «scaricabarile» (spostare su altri il peso della guerra). Senza contare che oggi lo Stato Islamico è, grazie a un’inerzia durata troppo a lungo, molto più forte di ieri. E la sua gramigna si è diffusa in molti luoghi. Se la grande coalizione anti Stato Islamico resta più fragile di come la si vorrebbe, che dire poi di quel vaso di coccio che è l’Europa? Hollande, consapevole che Obama non è disposto a fare molto più di quello che sta facendo, con una mossa a sorpresa, anziché appellarsi all’articolo 5 della Nato (che impone ai membri dell’alleanza di soccorrere militarmente l’aggredito) ha richiamato per la prima volta una norma europea (l’articolo 42 del Trattato) chiedendo l’aiuto (militare) dei partner dell’Unione. È difficile pensare che ciò possa avere un seguito. Ad esempio, né la Germania né l’Italia, verosimilmente, sono pronte a un impegno di quella portata. Prima di pensare a una cosa del genere, occorrerebbe ottenere (ma è assai difficile) una maggiore coesione non solo fra gli Stati europei ma anche all’interno di ciascuno di essi.

È più probabile che l’Europa, in breve tempo, sia di nuovo pronta a dividersi fra due fronti ugualmente insensati; da un lato, il fronte di chi vuole fare di tutta l’erba un fascio, prendersela con tutti i musulmani (sarebbe un favore allo Stato Islamico, getterebbe fra le sue braccia anche gente che avrebbe fatto altro) e, dall’altro lato, il fronte di chi pretende di trattare l’estremismo terrorista come un fatto estraneo all’islam e comunque isolato. Come la prima, anche questa seconda posizione si risolve in un favore per gli estremisti: impedisce di mettere a nudo, e combattere, le affinità cultural-ideologiche fra la minoranza jihadista e settori più ampi del mondo musulmano. Se quelle affinità non ci fossero, ad esempio, non ci sarebbero stati (come osservava Giles Kepel sul Corriere di ieri), i tanti consensi registrati a suo tempo nel mondo islamico per l’azione contro Charlie Hebdo . Né certi giornali del mondo arabo avrebbero potuto permettersi in questi giorni di pubblicare vignette satiriche contro la Francia aggredita. Dallo scontro fra due insensatezze non nasce nulla di sensato. L’Europa, se non vuole essere sconfitta, deve imparare ad essere più intelligente di così.

Guido Olimpio: "Quello che (ancora) non sappiamo"

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Guido Olimpio

L’indagine ruota attorno a Francia, Belgio, Siria. Molti gli aspetti chiariti, altri restano da decifrare.

Il commando Era formato da 8 elementi, la maggior parte di loro è stata in Siria. Sei già identificati. Non è chiaro chi sia l’artificiere e chi il capo cellula. Il ricercato Salah Abdeslam è stato indicato da alcuni come l’uomo che ha preparato gli ordigni, media francesi hanno invece sostenuto che sarebbe Mohamed Amri, fermato in Belgio e trovato in possesso di sostanze chimiche per mettere a punto la miscela nota come «madre di Satana». Resta da comprendere perché Salah non sia morto come i suoi compagni. Probabile che abbia un altro compito e sia «spendibile». Ormai acclarato il legame operativo con la presunta mente dell’Isis a Raqqa, Siria, il belga Abdelhamid Abaaoud, vecchia conoscenza dell’antiterrorismo.

I kamikaze All’inizio si è parlato di operazione ben organizzata, in realtà stanno emergendo incongruenze. Gli attentatori suicidi volevano farsi esplodere nello stadio, ma sono rimasti fuori, rallentati dai controlli. Possibile che non abbiano tenuto conto dei «tempi» di accesso all’impianto sportivo? Forse — è la tesi — hanno ricevuto le fasce esplosive e l’ordine, senza però eseguire una ricognizione in zona. Un errore che ha evitato un bilancio ancora più grave.

L’obiettivo Nel comunicato di rivendicazione l’Isis afferma che i suoi mujaheddin hanno colpito anche il 18esimo arrondissement. Però qui non è avvenuto nulla. Colui che ha preparato il documento si è sbagliato oppure era in programma un attacco anche in questo quartiere? Non è un aspetto secondario: potrebbe significare la presenza di altri elementi sui quali si è a lungo speculato. Alcune indiscrezioni hanno parlato di un gruppo di 20 terroristi, numero che appare forse eccessivo.

Gli allarmi Turchia e Iraq hanno sostenuto di aver passato segnalazioni alla Francia sul rischio di attacchi. Indicazioni in questo senso sarebbero arrivate anche dall’intelligence Usa, Obama però ha smentito. È un tema delicato in quanto rischia di ampliare le polemiche sui buchi nella sorveglianza. Le note d’allarme tra Paesi sono quotidiane, numerose, spesso vaghe e non circostanziate. Che esista un pericolo di attentati è una situazione evidente, altra cosa dire che agiranno in quella città o contro quel jet. Toccherà al governo di Parigi chiarire.

Le comunicazioni Come hanno comunicato tra loro i militanti? Si è parlato di apparati criptati, di uso dei videogame online che permettono di scambiarsi informazioni. I criminali sanno delle intercettazioni a tappeto condotte da Nsa, britannici ma anche francesi. Hanno adottato contromisure? Magari si sono limitati a utilizzare cellulari usa e getta.

Le armi I kalashnikov possono essere stati acquistati sul mercato nero in Belgio o in Francia. Magari anche attraverso i rifornitori della mala. A Marsiglia i trafficanti regolano i conti proprio con il mitra Ak. L’esplosivo lo avranno fabbricato in casa usando ingredienti facilmente reperibili dal ferramenta e nei supermercati. L’inchiesta non esclude però altri canali.

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