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Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.10.2015 Sergio Romano ripulisce l'immagine del Gran Muftì nazista: non fu alleato di Hitler !
Oltre a noi, ci sarà qualcun altro a smentirlo ?

Testata: Corriere della Sera
Data: 25 ottobre 2015
Pagina: 37
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Hitler e il Gran Mufti: satellite, non alleato»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 25/10/2015, a pag.37, con il titolo " Hitler e il Gran Mufti: satellite, non alleato ", la risposta di Sergio Romano a un lettore.

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Il Gran Muftì con Adolf Hitler: alleati, nooo, dice Romano

Questa risposta di Romano appartiene alla serie " vero in parte", nel senso che, raccontando la verità, anche se parziale, ne viene fuori una difesa persino di Netanyahu, che ha dell'incredibile. Ma è quando affronta il ruolo del Gran Muftì di Gerusalemme che rinasce il Romano paladino-islamico. Presentare al Husseini quasi come una vittima possibile di Hitler è un falso storico. L'imam è stato sempre un massacratore di ebrei, sin dagli anni'20 e anche prima. L'avvento del nazismo produsse una vera e propria alleanza tra arabi e nazisti, ma questa è storia, la si legge nei libri di storia. Romano prova a negarla nel colpo di coda delle righe finali, ma non se la sente di andare oltre. Auto vergogna ?

Ecco lettera e risposta:

Che cosa pensa delle dichiarazioni del premier israeliano in merito all’Olocausto, e precisamente che Hitler inizialmente non voleva sterminare gli ebrei ma solo espellerli; successivamente fu, diciamo, istigato dall’allora Gran Mufti di Gerusalemme che non voleva vedere arrivare — come già stava avvenendo — milioni di ebrei in Palestina. Se in questa affermazione possono esserci degli elementi di verità in un contesto distorto, certo è, a mio avviso, che il premier ha voluto fare certe dichiarazioni in chiave anti-palestinese, per rinfocolare l’odio anti-arabo, poiché non vuole in alcun modo la nascita di uno Stato indipendente Arabo a fianco di Israele.

Fabio Todini
Roma

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Sergio Romano

Caro Todini,

Hitler si servì del Gran Mufti di Gerusalemme come di ogni nemico della Gran Bretagna. Ma Haj Amin Al-Husseini era soltanto uno dei numerosi satelliti che ruotavano nella galassia tedesca sperando di ottenere, con l’aiuto dei Reich, ciò che non riuscivano a conquistare con le proprie forze. Ma non avrebbe mai permesso che un satellite dettasse la sua politica. Nel discorso di Benjamin Netanyahu al Congresso sionista, tuttavia, esiste una affermazione indiscutibilmente esatta. Agli inizi della campagna anti-ebraica, dopo la conquista del potere, l’obiettivo di Hitler era quello di espellere tutti gli ebrei dal Reich. Li avrebbe esclusi da tutte le professioni liberali, li avrebbe costretti a cedere la proprietà dei loro beni, li avrebbe perseguitati e tormentali in mille modi sino alla partenza. Ma la prospettiva dello sterminio non apparteneva allora alla politica del Reich. Questo spiega, tra l’altro, perché, fino al 1939, vi fossero a Berlino e in altre città tedesche molte associazioni che assistevano pubblicamente gli ebrei nei preparativi per la partenza. Ho scritto «fino al 1939», perché dopo l’inizio della guerra il permesso di partire venne generalmente negato a chi voleva emigrare verso Paesi attualmente o potenzialmente nemici.    Il mutamento della politica ebraica del regime nazista coincide con l’occupazione della Polonia e l’invasione dell’Urss nel giugno 1941. A Varsavia, a Lublino, in Galizia, in Bielorussia, in Ucraina, a Riga e a Vilnius i tedeschi trovarono la maggiore concentrazione di ebrei nel mondo: probabilmente, non meno di sei milioni. Cominciarono allora, con la formazione degli Einsatzgruppen (formazioni speciali della Wehrmacht), le prime fucilazioni di massa. Ma agli occhi di un regime fanaticamente deciso a «risolvere» la questione ebraica, quel metodo appariva insufficiente. Con fredda determinazione e con metodo burocratico, fu deciso che l’intera popolazione ebraica europea sarebbe stata trasferita in campi, generalmente collocati al di fuori del territorio tedesco, dove gli ebrei «validi» avrebbero lavorato sino all’esaurimento delle loro forze e tutti, prima o dopo, secondo una espressione coniata nel mondo dei lager, sarebbero «passati per il camino». Il metodo e la ripartizione dei compiti fu materia di una riunione che si tenne in una villa delle SS di fronte al lago berlinese di Wannsee il 20 gennaio 1942. Aggiungo per completezza, caro Todini, che molto probabilmente, se Hitler avesse vinto, gli arabi, nei territori controllati dalla Germania, non sarebbero stati trattati meglio degli ebrei, e il Gran Mufti di Gerusalemme non sarebbe riuscito a impedirlo.

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