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Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.08.2015 Turchia: una autocrazia sempre più islamica
Analisi 'elastica' di Antonio Armellini

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 agosto 2015
Pagina: 29
Autore: Antonio Armellini
Titolo: «Turchia, da garante Nato ad alleato riottoso»

Riporendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/08/2015, a pag.29, con il titolo " Turchia, da garante Nato ad alleato riottoso " l'analisi di Antonio Armellini.

 

Ad Armellini manca il coraggio di scrivere smplicemente le cose come stanno. Una tradizione che vede i vari Romano, Toscano, Negri & Co. più che rispettosi, conniventi. Invece di scrivere che la Turchia ha scelto l'islam invece del percorso verso la democrazia intrapreso prima dell'arrivo di Erdogan, la prende alla larga, partendo addirittura dalla caduta del Muro di Berlino, per finire con una vaga chiamata in causa dell'Occidente- funziona sempre- senza però attribuire a nessun governo alcuna responsabilità.

Ecco l'articolo:

Stretta nella contraddizione fra modernità e tentazioni neo-ottomane, la Turchia laica c repubblicana di Kemal Ataturk rischia di cambiare pelle e di diventare sempre più un partner riottoso, piuttosto che un alleato dell'Occidente in quella Nato di cui fa pur sempre parte. Le elezioni dello scorso giugno hanno negato all'Akp di Erdogan la maggioranza assoluta, ma il successo dell'opposizione moderata dell'Hdp gli aveva offerto la via per una soluzione politica dell'eterno nodo curdo, dando ulteriore sostanza al concetto di Islam tollerante e moderato su cui aveva fondato la sua ascesa al potere. Non è andata così; nel tentativo di recuperare il consenso che gli era mancato alle urne, ha rifiutato qualsiasi contatto con l'opposizione e scelto i toni dell'esasperazione nazionalistica, facendo fallire la tregua con la guerriglia del Pkk su cui si erano appuntate molte speranze. Le tergiversazioni nella lotta contro l'Isis sono state apparentemente superate dall'impegno ribadito solennemente da Ankara negli ultimi giorni per una azione coordinata, d'intesa con gli Usa e gli alleati, ma le ambiguità di una posizione che, dietro alla lotta all'Isis, punta soprattutto alla prosecuzione della campagna contro il Pkk con l'acquiescenza silenziosa della Nato, rimangono tutte. E intanto Erdogan insegue per la seconda volta, attraverso elezioni anticipate indette a forza per il i novembre, una sorta di singolare investitura democratica per la trasformazione del Paese in una autocrazia sempre più islamica e sempre meno Novecento Quanto accade in Siria e in Iraq conferma il fallimento dei progetti nati a Versailles repubblicana. Avrà contro come sempre le borghesie urbane; non è detto che potrà contare sull'appoggio compatto delle zone rurali e men che meno sul voto curdo. Potrebbe andargli male di nuovo, mettendo alla prova le capacità di tenuta democratica del Paese. La caduta del Muro ha comportato la dissoluzione degli assetti geopolitici nati dalla Seconda guerra mondiale, in Europa ma non solo. Lungo il versante sud dell'ex linea di confronto fra Est e Ovest gli effetti della fine dell'Urss non sono stati meno devastanti; un po' in là, è l'intero sistema con cui dopo la Prima guerra mondiale era stata definita a Versailles la spartizione dell'impero ottomano, che ha mostrato la corda. La Turchia era stata il garante della frontiera meridionale fra la Nato e l'Urss: le si apriva ora la possibilità di esercitare un ruolo propositivo per consolidare l'influenza occidentale, a partire dalle ex Repubbliche asiatiche. Rimane da chiedersi perché la Nato non abbia colto questa opportunità e le mosse di Ankara siano state poco comprese, lasciando che questi Paesi tornassero sotto il controllo di dittatori che di sovietico avevano conservato tutto, salvo il nome. Un'occasione perduta, forse a causa della sottovalutazione di come un alleato, sin qui tutto sommato marginale, stesse diventando una potenza regionale dotata di una autonoma proiezione di interessi. Una sottovalutazione che, sommatasi alla spina del negoziato senza fine sull'ade-stone all'Ue, ha contribuito ad aprire qualche crepa in più nel rapporto fra la Turchia e i suoi alleati occidentali. Quanto accade in Siria e in Iraq conferma il fallimento delle architetture create a tavolino a Versailles: a quasi cent'anni di distanza restano due creazioni artificiali, al di là dei conflitti che al momento le dilaniano. Il fantasma del Kurdistan — un'altra promessa di Versailles mai realizzata — continua ad aleggiare minaccioso. Era naturale per la Turchia «neo-ottomana» di Erdogan rivolgere l'attenzione verso quest'area: oltretutto, il demone curdo continua a condizionare la sua intera azione politica. Avrebbe potuto essere un mediatore autorevole, nel quadro di una strategia coordinata con gli alleati occidentali: da Israele all'Egitto, all'Arabia Saudita, al Qatar era un interlocutore necessario e ascoltato. Ancora una volta, un eccesso di supponenza da parte degli uni, e una sopravvalutazione delle proprie forze dall'altra, hanno fatto sì che la Turchia, anziché mediatore, si trasformasse in una delle parti del conflitto, in un chiaroscuro di giochi e di ambiguità che ne riducono il raggio di intervento. Ci si può domandare se una maggior lungimiranza avrebbe potuto contenere una simile deriva negativa; forse no, ma quello di non essersi resi conto per tempo che una Turchia lasciata sola avrebbe gravitato verso le sue aree di influenza tradizionali senza avere né forza né strumenti per governarne le crisi, non è un errore che possa essere imputato al solo Erdogan. II quale deve essere fermato, nella sua resistibile ascesa al potere assoluto; quanti hanno a cuore le sorti della democrazia turca devono essere al tempo stesso pronti a riconoscere che un Paese che è molto cresciuto merita una diversa attenzione.

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lettere@corriere.it

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