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Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.08.2015 Profughi in Europa: tanta disinformazione e pochi diritti
Analisi di Bernard-Henri Lévy

Testata: Corriere della Sera
Data: 26 agosto 2015
Pagina: 29
Autore: Bernard-Henri Lévy
Titolo: «Profughi in Europa: tanta disinformazione e pochi diritti»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/08/2015, a pag. 29, con il titolo "Profughi in Europa: tanta disinformazione e pochi diritti", l'analisi di Bernard-Henri Lévy.

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Bernard-Henri Lévy

In Europa, il dibattito sulla questione dei migranti sta via via assumendo connotazioni demenziali. Abbiamo cominciato costruendo un concetto contenitore, un mostro giuridico, ovvero «i» migranti, che non ha alcun senso e tende anzi a cancellare una differenza che sta al centro del nostro Diritto, oltretutto essenziale, tra immigrazione economica e politica, ovvero tra i rifugiati spinti dalla povertà e quelli scacciati dalla guerra, tra la famosa e universale «miseria del mondo» di cui nessuna società, per quanto solidale e generosa, potrà mai farsi carico interamente, e i superstiti dell’oppressione, del terrore, dei massacri, verso i quali abbiamo invece l’obbligo di offrire ospitalità incondizionata, che si chiama diritto di asilo.

Quando ci si mette d’accordo su questa distinzione, lo si fa soprattutto per affrontare un altro travisamento, e cioè quelle affermazioni ingannevoli che vogliono far credere all’opinione pubblica europea impaurita e sconvolta che tutti quegli uomini, donne e bambini, che hanno pagato migliaia di euro per il privilegio di imbarcarsi sulle carrette del mare che vediamo sbarcare a Lampedusa o sull’isola di Kos, appartengono alla prima categoria, mentre nell’80 per cento dei casi essi fanno parte della seconda: sono profughi che fuggono dalle dittature, dal terrore, dalla guerra, dal fondamentalismo religioso, dalla jihad anticristiana in Siria, Eritrea, Afghanistan, e che la legge ci impone di esaminare non in massa, ma vagliando ogni singolo caso.

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Quando ci si metterà d’accordo e, cifre alla mano, non avremo altra soluzione che quella di ammettere che siamo davanti a gente che fugge, per la stragrande maggioranza, da persecuzioni mostruose e da morte sicura, allora innalzeremo — come ha fatto questa settimana il titolare della diplomazia russa — una terza cortina fumogena, affermando cioè che le guerre da cui fuggono i profughi sono le guerre in corso nei Paesi arabi da noi bombardati, mentre si tratta — sempre cifre alla mano — di un’immigrazione proveniente soprattutto dalla Siria, tra i Paesi arabi, dove né l’Europa né il mondo hanno voluto affrontare una guerra che avevamo il dovere di fare, in virtù del diritto internazionale, quando un dittatore pazzo, dopo aver sterminato 240 mila suoi concittadini, si è messo in mente di svuotare il suo Paese.

Abbiamo ancora ben impresso, grazie alle immagini e ai filmati televisivi, il mito di un’Europa-fortezza presa d’assalto da ondate di nuovi barbari mentre, se consideriamo il solo caso della Siria, non è verso l’Europa che si rivolgono di preferenza i profughi, bensì verso Turchia e Libano — due milioni nel primo caso, un milione nel secondo (su una popolazione di tre milioni e mezzo). Nel frattempo, in Europa la somma dei nostri egoismi ha sancito il fallimento di un piano di ricollocamento e ridistribuzione di 40 mila rifugiati! Per quei pochi che scelgono comunque la Germania, la Francia, la Scandinavia, il Regno Unito e l’Ungheria, nessuno sembra rendersi conto che siamo davanti a una popolazione non di nemici, venuti per distruggerci o per vivere alle nostre spalle, ma di candidati alla libertà, innamorati della nostra terra promessa, del nostro modello di società, dei nostri valori, che inneggiano «Europa! Europa!» proprio come milioni di emigranti europei, sbarcati a Ellis Island, gridavano «America! America!».

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Campo di raccolta di profughi siriani

E non voglio nemmeno far cenno a quelle infami dicerie che questo assalto immaginario sarebbe orchestrato dagli strateghi clandestini di un travaso di popolazioni venute a soppiantarci, o peggio ancora, da una jihad internazionale che avrebbe trovato la filiera perfetta per infiltrare i suoi futuri terroristi nei Thalys di domani. Conseguenza di questi tentennamenti è un Mediterraneo abbandonato agli scafisti che sono i veri beneficiari del vuoto giuridico in cui ci dibattiamo, e che abbiamo la vana pretesa, per di più, di voler combattere «senza tregua». Il risultato è un Mare Nostrum che si va trasformando in un gigantesco cimitero marino — 2.350 annegati in mare solo dall’inizio di quest’anno.

E quando sfuggono all’inferno, questi individui restano senza nome e quasi senza volto, e la società dello spettacolo, così pronta a confezionare una celebrità al giorno, da riciclare instancabilmente da una rete d’informazione all’altra allo scopo di dare spazio e voce a qualsiasi crisi del maiale, sciopero dei camionisti o rivendicazione dei tassisti, la società dello spettacolo — dico — non è stata capace, in questa occasione, di interessarsi a uno solo di quei destini. Sono uomini e donne che si mettono in cammino seguendo le orme di una certa principessa Europa giunta da Tiro sulle nostre sponde qualche migliaio di anni fa, ma contro i quali l’Europa, stavolta, innalza i suoi muri. Nasce così una popolazione di senza diritti della quale Hannah Arendt già a suo tempo osservava che avrebbe finito, prima o poi, per considerare l’illegalità e la caduta nella criminalità paradossalmente come l’unica via percorribile per accedere al mondo di coloro a cui i diritti sono garantiti.

In breve, siamo davanti a un’Europa ripiegata sulle sue contraddizioni, aizzata da nazionalisti e da xenofobi, travagliata da mille insicurezze, un’Europa che volta le spalle ai suoi valori perché ha semplicemente smarrito la sua identità. Per chi suona la campana? Anche per l’Europa, che vediamo agonizzare sotto i nostri occhi.

(Traduzione di Rita Baldassarre)

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