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Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.12.2014 Imre Lakatos tra filosofia della scienza, antifascismo e una colpa nascosta
Recensione di Enrico Mannucci al libro di Januaria Piromallo

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 dicembre 2014
Pagina: 41
Autore: Enrico Mannucci
Titolo: «Quando 'suicidarono' Eva: la colpa nascosta di Lakatos»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/12/2014, a pag. 41, con il titolo "Quando 'suicidarono' Eva: la colpa nascosta di Lakatos", l'articolo di Enrico Mannucci.


Imre Lakatos                   


Il sacrificio di Eva Izsák e la sua autrice, Januaria Piromallo

Abbiamo ripreso questo pezzo anche se il suo impianto ci ha lasciato insoddisfatti. Non è ben chiaro quanto incida nel racconto la fantasia dell'autrice e quanto la verità storica. Il co-protagonista, Lakatos, aldilà del triplo cambiamento del cognome - e di identità- rimane largamente sconosciuto. Ma la tragedia che si è consumata, il clima ideologicamente criminale della commistione fra nazismo e comunismo, hanno trovato nei comportamenti di Imre Lipschitz- questo il suo vero nome e la sua identità ebraica- un tragico esecutore di quell'ideologia. Ciò che rende interessante l'intera storia.

Ecco l'articolo:

Un labirinto di specchi perfetto per un romanzo di John le Carré. E anche una vicenda potenzialmente clamorosa e dirompente, messa in sordina da quel mondo accademico britannico dove per tradizione convivono — e talvolta s’intrecciano — radicalismo di sinistra e affiliazioni con servizi segreti, a partire da quelli di Sua Maestà.

È una storia feroce recuperata da Januaria Piromallo, che l’ha riproposta, romanzata, in un volumetto pubblicato da Chiarelettere: Il sacrificio di Eva Izsák . Si tratta di un sacrificio in senso letterale: la ragazza viene convinta a suicidarsi dai compagni di una cellula clandestina comunista, in gran parte composta da ebrei, che combatte l’occupazione hitleriana nell’Ungheria del 1944. Sono tutti giovanissimi. Il capo — colui che impone il cruento epilogo — ha 22 anni, è appena laureato, si chiamava Imre Lipschitz, poi ha cambiato il nome in Imre Molnár, celando l’origine ebraica (madre e nonna moriranno ad Auschwitz). Eva è appena diciannovenne.

Quel che sappiamo di lei ci arriva da un memoriale (44 pagine in ebraico, pubblicate in forma privata) scritto da Myriam, la sorella maggiore. Eva è appassionata, dà tutta se stessa alla lotta clandestina. Ma il capo la considera l’anello debole della cellula. Quando la situazione diventa critica, decide che non può più far parte del gruppo. Va eliminata. Lei stessa concorda (oggi può sembrarci assurdo, ma basta leggere Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler per capire che le scelte assolute e autodistruttive non riguardano solo il fanatismo islamista): «Dico che si è sottomessa alla morte e non che è stata costretta. Eva ha accettato di morire quando le è stato detto che la sua morte avrebbe salvato altre vite» scrive la sorella. Uno dei compagni la scorta in un bosco vicino a Navygarad e le consegna un flacone di cianuro. Il cadavere non verrà mai ritrovato. Eva sarebbe sparita nel nulla se la sorella — l’unica della famiglia che aveva mantenuto qualche contatto — non avesse avviato un’indagine disperata e ostacolata in mille modi.

Il recupero del memoriale è avvenuto grazie all’incontro fra la Piromallo e chi lo custodiva: uno studioso ungherese già collega di sua madre, Imre Toth, che era stato testimone diretto di quel periodo durissimo, aveva incrociato Eva e conosciuto colui che aveva preso il nome di Molnár. La traduzione narrativa del memoriale (i brani riportati integralmente appaiono in corsivo) riempie i vuoti nella ricostruzione con una forte dose di empatia verso la vittima. Fino all’invettiva verso chi l’ha spinta al gesto estremo. Qui, del resto, arriva l’aspetto più sconcertante. Perché Imre Molnár vivrà un’esistenza complessa e multiforme. Nell’immediato dopoguerra cambia nuovamente nome, si ribattezza Imre Lakatos, con un cognome diffuso nel proletariato ungherese, nel 1947 diviene un importante funzionario al ministero dell’Educazione: in nome dell’ortodossia marxista dispone le epurazioni fra gli accademici.

Nel giro di tre anni, però, le cose cambiano per ragioni a oggi non chiarissime. Forse pesa il caso di Eva. Lakatos cade in disgrazia. Il rigido interprete dell’ideologia subisce il contrappasso: finisce in un campo di lavoro a Racsk, forse è torturato, forse è accusato di trotskismo, qui le biografie restano lacunose. Di sicuro, quando viene liberato nel 1953, è un reietto, costretto a mendicare un tetto dagli amici rimasti.

Nel 1956, coi moti d’Ungheria, espatria. Prima in Austria, poi in Gran Bretagna. E qui arriva un’ennesima reincarnazione. Lakatos abbandona il marxismo e si avvicina al pensiero di Karl Popper, lo sviluppa e modifica (non mancheranno, qui, successive polemiche). Diviene, comunque, uno dei massimi filosofi della scienza. Onore e vanto della London School of Economics (dove entra nel 1960 e, dal 1969, tiene la cattedra di Logica), fra le prime istituzioni culturali anglosassoni, con numerosi premi Nobel nel carnet. Lì, Lakatos coltiva studi e relazioni fino alla scomparsa, nel 1974. I prestigiosi 15 anni nel Regno Unito, stranamente, non gli valgono la cittadinanza. Come se qualcosa di oscuro nel suo passato sconsigliasse un’assimilazione totale, quasi a lasciarsi l’opzione di rinnegarlo nel caso di uno scandalo retrospettivo. Balza agli occhi il curioso silenzio da parte britannica su questa pagina oscura nella vita di Lakatos, peraltro non ignota a molti colleghi accademici. Una specie di velo, confermato dall’ obituary del «Times», nel 1974, ma anche dalle biografie attuali, come quella contenuta nel sito web MacTutor History of Mathematics .

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