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Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/10/2014, a pag. 28, con il titolo " La UE apra a un vicino prezioso ", il commento di Antonio Armellini. E'l'ora degli ex ambasciatori. Dopo Roberto Toscano, ex ambasciatore in Iran, che perora sulla STAMPA la ripresa piena dei rapporti con Teheran, tocca adesso all'ex ambasciatore in Iraq e India Antonio Armellini ad augurarsi la riapertura dei commerci con la Turchia. Armellini è meno diretto di Toscano, la prima parte del suo pezzo è condivisibile. Ma l'approccio finale è identico. I due quotidiani sono portatori di interessi commerciali con i due paesi, li vogliono riaprire, e pensano di influenzare il governo attraverso la mediazione di uomini della Farnesina. Al CORRIERE il titolo, insieme alla seconda parte del pezzo, è rivelatore: la Turchia è un vicino prezioso. Superfluo dire per chi.
Ci sono volutele le maniere forti di Obama perché il presidente turco Erdogan lasciasse passare i rinforzi curdi diretti a Kobane. Curdi iracheni e non turchi, per i quali rimane il veto. II cinismo con cui ha lasciato che la tragedia della città assediata si svolgesse sotto lo sguardo indifferente dei carri armati di Ankara ha destato stupore e indignazione. Così come perplessità — a dir poco — ha destato l'ambiguità di un Paese Nato disposto a chiudere gli occhi davanti al passaggio dei «volontari» dell'Isis. II Kurdistan è l'ultima delle eredità avvelenate della Prima guerra mondiale. Avrebbe dovuto essere ritagliato da Turchia, Siria, Iraq e Iran nel quadro della dissoluzione dell'Impero ottomano; non ha mai visto la luce e la promessa mancata ha destabilizzato l'intera regione. La tensione si è andata riducendo là dove la minoranza curda era tutto sommato modesta, come in Siria e Iran, e là dove la sostanziale scomparsa dello stato ha permesso una indipendenza di fatto, come in Iraq. Non in Turchia però: la minoranza curda è stata sempre vista come un pericolo mortale per il centralismo nazionalista della repubblica voluta da Ataturk. La guerriglia del Pkk continua ad essere una spina nel fianco e l'impasto di populismo e di intolleranza su cui fonda il suo consenso Erdogan non permette cedimenti, che lui stesso probabilmente non vuole. Che Ankara accetti di comparire come l'anello debole della campagna contro il terrorismo fondamentalista, pur di non correre il rischio di ridare fiato al movimento indipendentista del Pkk, può apparire come un errore al limite dell'autolesionismo. È possibile che prima o poi si riveli tale, ma sulla posizione turca pesano anche altri fattori. Per inviare al Corriere della Sera la propria opinione, telefonare: 02/ 62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante lettere@corriere.it |
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