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Corriere della Sera Rassegna Stampa
18.10.2014 Iran: pecunia non olet, lasciateci fare i nostri affari
Come già la Stampa, si accoda ora anche il Corriere

Testata: Corriere della Sera
Data: 18 ottobre 2014
Pagina: 28
Autore: Antonio Armellini
Titolo: «Un'apertura all'Iran farà bene anche a noi»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/10/2014, a pag.28, con il titolo "Un'apertura all'Iran farà bene anche a noi", il commento di Antonio Armellini. Il pezzo è impostato sulla tecnica del "non solo ma anche", indispensabile quando si vuole sostenere una tesi senza darlo troppo a vedere. Armellini infatti cita, senza approfondire, i 'difetti' del regime iraniano -pochi per verità, il più vistoso, quello della minaccia di distruggere Israele completamente dimenticato- per arrivare nelle ultime righe a chiarire il senso dell'articolo: "recuperare un mercato per noi da sempre importante".
Il CORRIERE della SERA segue così la posizione nei confronti dell'Iran espressa già dalla STAMPA con l'analisi dell'ex ambasciatore in Iran Roberto Toscano http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=55617 nella quale esprime gli stessi concetti: lasciateci fare i nostri affari, chissnefrega se l'Iran è una delle più odiose dittature, l'Economia - quella con la E maiuscola- non è mai andata tanto per il sottile sulla natura dei regimi con i quali firmare lauti contratti. Linea che i nostri giornaloni rispettano puntualmente.

Ecco l'articolo:


Rohani, la faccia spendibile, sullo sfondo quella vera, Khomeini

E' il momento di pensare alla carota nei confronti dell'Iran, dopo anni di bastone? Dai cantieri abbandonati nel cuore delle città all'autarchia commerciale forzata, al divieto di importazione per le tecnologie avanzate, il peso delle sanzioni si fa sentire. La retorica, gli slogan, i comportamenti pubblici di un sistema teocratico chiuso evocano un Islam occhiuto, austero prima ancora che intollerante. L'Occidente rimane l'avversario principale: forse non più tanto Satana, ma comunque nemico da tenere lontano per evitare il pericolo di contagio. E tuttavia, del contagio non mancano i segnali. Man mano che ci si avvicina a Teheran il velo obbligatorio sul capo delle donne tende a scivolare liberando lunghe ciocche di capelli, il nero cede il passo a colori più squillanti. La nuova classe media affolla autostrade e centri commerciali nei weekend. Nelle case dei ricchi dietro il rigore esterno si scopre un'ansia di liberazione che nei giovani tende a travalicare nell'eccesso. Le aperture di Rouhani sono importanti, ma il controllo è saldamente nelle mani di Khamenei e il rapporto di forze con la Guida Suprema rimane impari. Non è chiaro se la stabilità interna, su cui i mullah ostentano sicurezza, sia effettiva o se covino nuovi fuochi: svanite le speranze create dalla protesta popolare del 2009, il Paese sembra acconciarsi a convivere con un regime dal quale cerca di ritagliarsi margini di autonomia. Sarebbe un errore concludere da tutto ciò che l'Iran sia pronto a farsi Occidente: la società resta convintamente islamica e le moschee sono a un tempo centri di fede e di comunicazione sociale. Vuole che tale modello non sia offuscato da prescrizioni che la releghino ai margini della comunità internazionale di cui si considera a buon diritto partecipe. Le sanzioni sono state importanti per far capire all'Iran che rinunciare a una capacità nucleare militare era la premessa essenziale per uscire dall'isolamento. Dopo fasi alterne il negoziato «P5 1/Ue» (i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza, più la Germania) è entrato in una fase cruciale e toccherà alla nuova Lady Pesc  Francesca Mogherini tirarne le fila. Sullo sfondo restano altri temi non meno cruciali, primo fra tutti quello del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Ma quello dell'accordo sulla bomba atomica è la porta d'ingresso per tutto il resto. Le prossime settimane diranno se sono possibili progressi reali nella trattativa e se sarà ipotizzabile passare alla carota, in materia di sanzioni. Si tratta di un «se» di peso. Riconoscere un ruolo all'Iran non significa soltanto acquisire strumenti che permettano di dipanare in maniera meno confusa il filo che dalla Siria passa all'Iraq e all'intero Medio Oriente, per approdare all'Isis. Significa recuperare un Paese che — al di là della cappa dei mullah — ha un forte senso di identità nazionale, una infrastruttura moderna e un potenziale economico importante. Insieme alla Turchia è l'unico grande Paese nella regione: anche Washington lo ha capito, sia pure con molte ambiguità. La prospettiva della carota non è priva di rischi, ma le alternative potrebbero essere peggiori. La società civile iraniana respira Occidente, fa fatica a sopportare l'isolamento in cui è costretta e di cui stenta a capire fino in fondo le ragioni. Escluderla potrebbe significare rigettarla nel cono dell'intolleranza; dandole spazio si potrebbe favorire quella lenta evoluzione di cui si vedono le tracce. E recuperare — last but not least — un mercato per noi da sempre importante in cui la Cina si avvia a fare la parte del leone L'Iran non diventerebbe per questo una democrazia liberale e i suoi standard in materia di diritti umani resterebbero lontani dai nostri. In questo si troverebbe in buona compagnia con molti altri partner dell'Occidente, nella regione e non.

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lettere@corriere.it

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