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Corriere della Sera Rassegna Stampa
27.07.2014 Israele-Hamas: il ruolo degli Stati Uniti nella ricerca di una tregua
Cronaca di Stefano Montefiori, commento di Franco Venturini

Testata: Corriere della Sera
Data: 27 luglio 2014
Pagina: 2
Autore: Stefano Montefiori - Franco Venturini
Titolo: «La svolta dell'alleato americano. 'Massacro di civili insostenibile' - L'equilibrio da ritrovare»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/07/2014, a pag.2, l'articolo di Stefano Montefiori dal titolo " La svolta dell'alleato americano. 'Massacro di civili insostenibile' " e da pagg. 1-3, l'articolo di Franco Venturini dal titolo "L'equilibrio da ritrovare", preceduto da un nostro commento

      
Il vertice di Parigi sulla guerra Israele-Hamas

Di seguito, l'articolo di Stefano Montefiori:


Stefano Montefiori


PARIGI — Il 19 febbraio 2009 l’allora senatore democratico John Kerry fece una visita a sorpresa a Gaza, accompagnato dalla moglie Teresa Heinz. I ricordi di quella missione hanno pesato sulla riunione di ieri mattina al Quai d’Orsay, secondo quanto raccontano fonti del ministero degli Affari esteri francese. Il segretario di Stato americano ha usato parole molto forti per descrivere quello che è rimasto impresso nella sua memoria, racconta un diplomatico che ha partecipato ai colloqui. Kerry ha parlato della situazione umanitaria drammatica che già precedeva questo conflitto, si è soffermato sulle condizioni dei bambini definendole spaventose, ha ricordato che un milione e 800 mila persone vivono in un territorio molto piccolo. Toni inusuali, durante una riunione ufficiale ad alto livello, per il responsabile della politica estera dell’alleato tradizionale di Israele.
«La testimonianza di Kerry è stata eccezionale per un rappresentante americano — aggiunge un altro diplomatico francese — perché si è trattato di un racconto personale, molto emotivo». Pochi minuti dopo la brevissima dichiarazione ufficiale del ministro francese Laurent Fabius, i racconti nei corridoi del Quai d’Orsay indicano una totale unanimità dei ministri sul fatto che «il massacro della popolazione civile è insostenibile, tutti hanno detto questo riconoscendo che le immagini di bambini, donne, anziani trovati sotto le macerie sono inaccettabili». Kerry è ripartito da Parigi con l’impegno di dire al premier israeliano Netanyahu che «i bombardamenti non possono continuare».
La riunione è stata giudicata «positiva» anche se le parti in causa — Israele e Hamas — ovviamente non erano presenti. Alcuni Paesi hanno rappresentato le loro posizioni e si sono proposti come garanti nel caso in cui i nemici accettino la proposta di un «cessate il fuoco umanitario di 24 ore rinnovabili»: Turchia e Qatar per Hamas, gli Stati Uniti per Israele. Proprio per questo, ha suscitato una certa sorpresa il fatto che Kerry sia uscito dal protocollo diplomatico per un’appassionata denuncia in difesa dei civili di Gaza.
L’intento della comunità internazionale è procedere per gradi, a colpi di cessate il fuoco più volte rinnovati. «È stato un incontro molto utile per arrivare all’obiettivo immediato di un estensione del cessate il fuoco in vigore in queste ore — dice la ministra degli Esteri italiana, Federica Mogherini —. La priorità in questo momento è fermare la perdita di vita umane a Gaza. Poi si dovrà arrivare a una tregua negoziata per permettere l’ingresso degli aiuti umanitari e l’inizio della ricostruzione».
Gli ostacoli sono due: da un lato Israele sostiene di avere bisogno di ancora alcuni giorni per individuare e distruggere completamente i tunnel usati da Hamas per nascondere armi e infiltrare terroristi nel suo territorio; dall’altro Hamas pretende l’apertura di valichi con Israele per spezzare l’isolamento e permettere la circolazione di uomini e merci con la Cisgiordania. Turchia e Qatar hanno riferito con precisione la posizione di Hamas, dicono al Quai d’Orsay: «A Gaza siamo prigionieri, e preferiamo morire piuttosto che restare prigionieri». Israele teme che aprire i valichi permetta di fare passare commando armati invece che civili, e cemento per ricostruire tunnel per i missili invece che case.
L’Unione europea cerca di superare lo stallo proponendo di riattivare il dispositivo Eubam (European Union Border Assistance Mission), già in funzione dal 2005 al 2007, che sorvegliava il passaggio di Rafah gestito dall’Autorità nazionale palestinese tra Gaza e l’Egitto. L’Egitto è disposto a riaprire quel valico ma a condizione che anche Israele accetti di aprire dei passaggi. «Per il momento il governo di Gerusalemme non ha risposto né sì né no». Gli europei poi si sono detti pronti a riprendere i programmi di aiuti in favore della popolazione civile. Molte strutture costruite con i fondi europei sono state distrutte dai bombardamenti, ma l’Ue è pronta a ricominciare.
«Noi non parliamo con Hamas — dicono i francesi —. Ma turchi e qatarini sì, i canali diplomatici sono aperti. Anche se Hamas non è un movimento centralizzato, bisogna ottenere l’accordo delle sue varie componenti e anche di altre organizzazioni, come la Jihad islamica». I diplomatici del Quai d’Orsay sembrano fiduciosi che la riunione di ieri a Parigi — «un luogo non neutrale, ma percepito da tutte le parti come positivo» — garantirà risultati concreti.

Venturini scrive che "Israele afferma di tentare di evitare" le vittime civili. In realtà non si tratta soltanto di una dichiarazione di Israele: bombardamenti mirati, , missioni sospese per evitare di colpire civili, avvertimenti per permetterne la fuga da un lato, la strategia degli scudi umani messa in atto da Hamas dall'altro sono  sono fatto documentati e accertati.
Venturini scrive poi
"nessuna strage può durare all’infinito e nessuno ha interesse a che ciò avvenga". Una frase che denuncia l'incomprensione di cosa realmente sia Hamas, organizzazione terroristica che vuole la strage non solo degli israeliani che bersaglia con i suoi razzi (fermati da Iron Dome), ma anche degli abitanti di Gaza, per ottenere il massimo effetto propagandistico. Qualcuno che ha interesse a che la strage continui all'infinito, dunque, purtroppo c'è.

Di seguito, l'articolo di Franco Venturini:


Franco Venturini
:
Missili e speranze di tregua si rincorrono nella guerra di Gaza come nella più crudele delle competizioni, incuranti del diritto alla sicurezza dello Stato di Israele, indifferenti al sangue dei civili palestinesi, attenti soltanto a conquistare posizioni negoziali più vantaggiose in vista di una «tregua lunga» che prima o poi dovrà venire.
La giornata di ieri è stata in questo senso esemplare. Dopo aver rifiutato venerdì la proposta di Kerry e di Ban Ki-moon per un cessate il fuoco di sette giorni accompagnato da trattative articolate sui vari temi di contrasto tra le parti, Israele aveva preso l’iniziativa di dichiarare per ieri una tregua umanitaria di dodici ore e Hamas aveva accettato. Poi il governo di Gerusalemme aveva suggerito di aggiungere altre quattro ore di pace, e di nuovo Hamas aveva accettato. Ma alle 20 locali, alla scadenza della prima tregua di dodici ore, colpi di mortaio e missili sono stati sparati in rapida sequenza da Hamas contro Israele, violando l’intesa raggiunta poco prima. Perché? Perché il gabinetto di guerra israeliano si accingeva a valutare l’ipotesi delle «tregue di 24 ore rinnovabili» suggerita in giornata dall’inviato dell’Onu e dalla conferenza di Parigi, e ad Hamas questa nuova formulazione non andava per niente a genio. Della road map negoziale tracciata da Kerry non si faceva più parola, non sarebbe stata affrontata la richiesta di Hamas di smantellare il blocco che soffoca l’economia di Gaza, e le forze israeliane avrebbero continuato, anche durante i cessate il fuoco, a dare la caccia e a distruggere i tunnel che i militanti islamici utilizzano come depositi di armi e come passaggi per andare a compiere incursioni in territorio israeliano.
Occorre rifarsi a questo complesso groviglio militare e diplomatico per capire quanto sia difficile oggi porre fine alla terza guerra di Gaza. Israele ha avuto perdite pesanti (quaranta soldati e due civili) , ma non ha ancora raggiunto gli obbiettivi strategici della sua offensiva terrestre. I tunnel vanno distrutti, beninteso, ma nel mirino ci sono anche le nuove capacità offensive dimostrate da Hamas, i missili che sono arrivati nelle regioni di Gerusalemme e di Tel Aviv dove sono stati quasi tutti ma non tutti intercettati dal sistema Iron Dome, i laboratori dove questi ordigni vengono modernizzati, tutto ciò che ha accresciuto, insomma, le capacità militari di Hamas dopo la tregua del novembre-dicembre 2012. Il premier Netanyahu ha bisogno di presentare questi risultati all’opinione pubblica israeliana, più che mai in presenza di un alto numero di perdite.
Sul fronte opposto, Hamas ha ritrovato con la guerra la sua ragion d’essere. La sua debolezza economica (malgrado l’aiuto finanziario del Qatar) e la contemporanea perdita dell’alleato egiziano dopo l’arresto di Morsi, lo avevano spinto a riproporre un governo unitario con i palestinesi di Fatah. La spirale che ha portato alla nuova guerra viene da lì e dai primi lanci di razzi contro il territorio israeliano. Hamas era consapevole di quale sarebbe stato il prezzo di una nuova sfida. E difatti oggi incoraggia quel «serrate i ranghi» che sempre ha accompagnato a Gaza le stragi di civili (che Israele afferma di tentare di evitare) e i clamori suscitati da bersagli inauditi come la scuola dell’Onu di Beit Hanoun (Israele ha promesso una inchiesta). In breve Hamas sta ritrovando il suo ruolo di unico vero avversario di Israele, ed è con queste credenziali che i suoi dirigenti chiedono negoziati contro il blocco economico israeliano-egiziano e a favore del rilascio dei prigionieri.
Se queste sono le ragioni di fragilità che accompagneranno ogni tregua, lo spazio per la diplomazia continua ad esistere. Nessuna strage può durare all’infinito e nessuno ha interesse a che ciò avvenga. Serviranno nuovi sforzi, e gli Stati Uniti non dovranno mollare soltanto perché vengono respinti, come venerdì, a conferma della loro diminuita influenza: sono ancora loro i soli che, con l’appoggio di adeguati interlocutori regionali, possano ottenere la sospensione del conflitto e prevenire il suo allargamento alla Cisgiordania. Poi dalla sospensione si dovrebbe passare alla conclusione, a una pace stabile con il tuttora negato riconoscimento di Israele da parte di Hamas. Ma questo traguardo, occorre dirlo con onestà, non è nemmeno all’orizzonte.

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