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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.07.2014 Perché tanto interesse per le opinioni politiche della cantante israeliana Noa ?
perché confermano quello che quasi tutti credono di sapere sul Medio Oriente

Testata: Corriere della Sera
Data: 25 luglio 2014
Pagina: 2
Autore: Noa
Titolo: «Canto e piango per i due popoli. Un’altra strada c’è: tendere la mano ai moderati»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 25/07/2014, a pag. 2, l'articolo di Noa dal titolo  "Canto e piango per i due popoli. Un’altra strada c’è: tendere la mano ai moderati"

Noa è una bravissima cantante di fama internazionale ben meritata, in settembre farà un tour in Italia, al quale auguriamo il massimo successo.
Ciò detto, ci chiediamo come mai interessi sempre moltissimo l'opinione di una cantante israeliana su una questione non precisamente musicale. La risposta è facile. Noa esprime quell'opinione quasi universale che non tiene conto dei fatti, ma che esprime unicamente un'augurio di pace. Quello che dice Noa lo dicono i capi di stato, i primi ministri; persino il papa nelle sue prediche domenicali esprime gli stessi concetti, che piacciono soprattutto a chi non vuole approfondire i fatti per capire veramente la realtà mediorientale. Ci permettiamo un suggerimento: perchè nessuno interpella Rita Pavone, cantante importante nella storia della canzone italiana,  chiedendole cosa ne pensa  della crisi italiana che ormai va avanti da 7 anni, o della politica estera del governo Renzi, o che reazione avrebbe se uno stato confinante con l'Italia ci facesse dono ogni giorno di una pioggia di razzi e missili.
Il nostro consiglio è solo apparentemente ironico.

Segnaliamo anche, su REPUBBLICA, le interviste a Meir Shalev di Vanna Vannuccini e a Marek Halter di Pietro Del Re.
Halter e Shalev, da bravi intellettuali che sanno tutto  su come si conduce un governo, se la prendono entrambi con il governo di Israele.

Di seguito, l'articolo di Noa:


Noa

Saluti a tutti dal nostro angolo del Medio Oriente, dove da qualche giorno è scoppiato l’inferno.
Ogni ora suonano le sirene di allarme vicino casa mia: missili in arrivo. A Tel Aviv è ancora peggio. Oggi viaggiavo con mio figlio e ho fermato la macchina in mezzo alla strada per precipitarmi in un edificio poco distante, non appena è partito l’ululato delle sirene. Qualche minuto dopo, abbiamo sentito tre forti esplosioni che hanno fatto tremare i muri. Nel sud del Paese, la situazione è insopportabile: la vita si è fermata, la gente passa gran parte del tempo rintanata nei rifugi antiaerei. I razzi vengono per lo più intercettati dal nostro sistema difensivo, ma non tutti. Ogni civile rappresenta un bersaglio, i nostri figli sono scossi, traumatizzati, le ferite emotive irreversibili. E i tunnel, scavati nel sottosuolo, sbucano proprio davanti alla porta di alcuni kibbutz sul confine di Gaza. Nei miei incubi peggiori riesco solo a immaginare a che cosa possano servire: contrabbando, rapimenti, torture, uccisioni! I nostri soldati sono in prima linea al fronte. Sono i nostri figli, i figli dei nostri amici e dei nostri vicini, i ragazzi e le ragazze chiamati dal governo a servire il loro Paese. Già vediamo bare avvolte nelle bandiere, parenti in lacrime, vite distrutte, si recita il Kadish… una routine purtroppo ben nota, e sconvolgente.
E che dire degli abitanti di Gaza, santo Iddio, quante tremende sventure può sopportare quella gente? È davvero condannata a soffrire per l’eternità per mano dei suoi crudeli tiranni? Le immagini dei bambini morti o feriti, le madri urlanti con i vestiti sporchi di sangue, le macerie e la devastazione, il terrore nei loro occhi, solo cinque minuti per uscire di casa, per scappare e mettersi in salvo prima delle bombe… nessun rifugio. Con le tattiche talebane di Hamas da una parte e i bombardieri F16 dell’esercito israeliano dall’altra, questa povera gente si ritrova intrappolata e senza scampo, schiacciata dalle ganasce d’acciaio della cecità e della stupidità! La conta dei morti aumenta di giorno in giorno, per l’amor di Dio!
I militanti di Hamas sono estremisti, jihadisti, gente pericolosa che punta a sterminare tutti gli ebrei, compresa me e i miei figli, non riconosce Israele e vuole trasformare tutti gli abitanti di Gaza in shahid, usandoli come scudi umani. Ne abbiamo sentito parlare. Ma è giusto accusare ogni uomo, donna e bambino per questa tragica pazzia da entrambi i lati?
Voglio scendere in piazza e gridare la mia verità. Ci sono solo due fazioni, e non si tratta di israeliani e palestinesi, ebrei e arabi, ma soltanto di moderati ed estremisti. Io mi schiero con i moderati, dovunque essi siano. E il nostro campo deve unire le forze e trovare unità. Io non ho nulla da spartire con gli estremisti ebrei che bruciano vivi i bambini, che avvelenano i pozzi e sradicano alberi, che prendono a sassate i ragazzini che vanno a scuola, che sono imbevuti di odio e si credono nel giusto. Il fatto che io abbia in comune con loro la religione e il passaporto non significa nulla per me.
Allo stesso modo, gli estremisti dell’altra sponda sono i miei più feroci nemici. Ma il loro odio non è diretto solo contro di me, bensì anche contro i moderati della loro società, facendo di noi tanti compagni d’armi. Ci sono voci più liberali nel mondo musulmano, ci sono partner per il dialogo! Abbiamo provato a tendere loro la mano? No. Anzi, il governo guidato da Netanyahu ha fatto di tutto per sabotare ogni tentativo di riconciliazione. Ha indebolito e umiliato Abu Mazen, capo del più moderato Olp, che ha affermato più volte di volere la pace. A più riprese, il governo Netanyahu ha disatteso gli impegni presi, rifiutandosi con mille pretesti di liberare i prigionieri che aveva promesso di rilasciare, ha preferito continuare a costruire insediamenti come se non vi fossero negoziati in corso. È come prendere ripetutamente a schiaffi qualcuno, ripetendo candidamente «Facciamo la pace!»
Solo il dialogo potrà salvarci. Solo uno sforzo congiunto per rafforzare i moderati ed emarginare per quanto possibile gli estremisti potrà riaccendere qualche speranza. Per quanto noi, in Israele, odiamo e disprezziamo Hamas, Hamas non scomparirà come per incanto. Abbiamo preso seriamente in considerazione le condizioni da loro avanzate per un cessate il fuoco? Molte di esse sono ragionevoli. Perché non cerchiamo di alleviare le sofferenze di Gaza, consentendo agli abitanti di migliorare le proprie condizioni economiche, restituire dignità alla loro vita in cambio di una tregua decennale. In quel lasso di tempo cambierà la mentalità dei giovani e anche un modesto livello di prosperità potrà diventare il catalizzatore del cambiamento! Perché immaginare che questi anni serviranno solo a rafforzare la potenza militare di Hamas? Le condizioni saranno sottoposte ai controlli della comunità internazionale. Forse potrà emergere una nuova realtà in cui Hamas, grazie a giovani leader capaci di vedere orizzonti diversi, potrebbe lasciarsi ricondurre a una dimensione politica in grado di favorire il dialogo.
Chiedo a me stessa, e a Netanyahu: perché non osiamo percorrere una strada nuova? Accogliamo Abu Mazen, fermiamo la costruzione di insediamenti, appoggiamo il governo di unità, riapriamo i confini di Gaza e riprendiamo gli scambi commerciali sotto il controllo di istituzioni internazionali, condividiamo i sogni dei palestinesi, spalanchiamo le braccia agli interventi internazionali e conquistiamoci un vero alleato per SCONFIGGERE il mostro dell’estremismo! Scacco matto.
Se di nuovo scegliamo la spada al posto della parola, se santifichiamo la terra anziché la vita dei nostri figli, ben presto saremo costretti a cercare una patria sulla luna, perché la nostra terra sarà così inzuppata di sangue e stipata di tombe che non resterà più posto per i vivi. Ho scritto queste parole e le ho cantate con la mia amica Mira Awad. E oggi suonano più vere che mai: «Quando piango, piango per entrambi. Il mio dolore non ha nome. Quando piango, piango rivolta al cielo spietato e dico: Ci deve essere un’altra strada».
(Traduzione di Rita Baldassarre)

Per esprimere la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare al numero 02/62821 oppure cliccare sulla e-mail sottostante

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