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Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.06.2011 Libano e Tunisia, anche il Corriere prende atto che la primavera araba era un sogno
L'incubo nelle cronache di Stefano Montefiori e Giuseppe Sarcina

Testata: Corriere della Sera
Data: 19 giugno 2011
Pagina: 16
Autore: Stefano Montefiori-Giuseppe Sarcina
Titolo: «La Siria contagia il Libano, e Hariri fugge in Francia-La nuova Tunisia teme gli islamisti in ascesa»

Per capire di quale pasta fosse Saad Hariri, è sufficiente ricordare quell'immagine scattata a Damasco nel dicembre 2009 quando di recò a baciare  Assad, il tiranno siriano che gli aveva assassinato il padre Rafik. Un tentativo di accaparrarsi una benevolenza, rivelatosi, oltre che spregevole, inutile. Oggi, anche lui, in fuga a Parigi, mentre il Libano è definitivamente nelle mani di Hezbollah con la benedizione siriana. Lo racconta sul CORRIERE della SERA di oggi, 19/06/2011, a pag. 16, Stefano Montefiori.
Sulla Tunisia, altra "primavera araba" alla quale si sta avvicinando un inverno minaccioso, l'articolo di Giuseppe Sarcina, a pag.17.
Che anche il Corriere si stia accorgendo del vero volto dei "buoni musulmani" ? Le virgolette non sono, per una volta, solo nostre, ma appaiono nell'occhiello sopra il titolo del pezzo di Sarcina. Che Michele Farina sia di corta ?
Ecco i due articoli:

Stefano Montefiori: " La Siria contagia il Libano, e Hariri fugge in Francia"


Hariri e Assad

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI— I due poveri sobborghi di Bab al Tabbaneh e Jabal Mohssen, a Tripoli, nell’arretrato nord del Libano, sono diventati venerdì il cuore dei conflitti epocali che stanno scuotendo tutto il mondo arabo-islamico. Otto morti, tra i quali un ragazzino di 14 anni, e 10 feriti sono il risultato di sparatorie con mitra e razzi Rpg tra due fazioni — pro e contro il dittatore siriano Assad— che hanno portato nelle strade di Tripoli la battaglia di una guerra molto più grande. Un conflitto che sfiora anche Parigi, dove da giorni è rifugiato l’ex premier libanese Saad Hariri minacciato — secondo i servizi segreti americani e sauditi — da agenti siriani e iraniani. Come era prevedibile, gli scontri che in Siria hanno provocato ormai oltre mille morti si sono estesi al Libano, il Paese che da tre decenni cerca— invano, nonostante il ritiro dell’esercito siriano nel 2005— di affrancarsi dalla tutela di Damasco. Gli abitanti del quartiere sunnita di Bab al Tabbaneh sono scesi in piazza venerdì a Tripoli per manifestare solidarietà ai fratelli sunniti della Siria, schiacciati dalla repressione del traballante dittatore Bashar Assad appartenente alla minoranza alauita (parte dell’islam sciita). Dal quartiere rivale di Jabal Mohssen sono subito usciti uomini armati che hanno lanciato prima una bomba assordante poi una granata sul corteo. A quel punto è scoppiata la sparatoria. Ad affrontarsi due mondi: da una parte i sunniti a sostegno dei siriani in lotta per la «primavera dei popoli» e legati almeno idealmente alla grande potenza Arabia Saudita, «il Vaticano dei sunniti» ; dall’altra, gli alauiti fedeli al grande protettore siriano Assad e sostenitori dell’asse con l’altra potenza regionale, l’Iran, «il Vaticano degli sciiti» . La battaglia si è conclusa con le vittime, l’esercito libanese schierato nelle strade, e una tregua siglata a mezzanotte a casa di Najib Mikati, il neo-premier nativo di Tripoli che appena lunedì si è insediato con il suo governo a Beirut, dopo cinque mesi di trattative e la fuga all’estero del suo predecessore, il filo-occidentale Saad Hariri. Le violenze di Tripoli ricordano che il Libano si appresta a vivere giorni cruciali, non solo per sè: il governo Mikati nasce con l’appoggio decisivo di Hezbollah, ed è quindi di nuovo legato a doppio filo al regime siriano e all’Iran. Saad Hariri, costretto a dimettersi a gennaio, è figlio di Rafik Hariri, il premier libanese ucciso nel 2005 in un attentato sul quale il tribunale speciale del- l’Onu potrebbe nei prossimi giorni presentare le proprie conclusioni. Se, come è probabile, l’Onu chiamerà in causa il clan Assad come mandante dell’assassinio di Hariri, la situazione potrebbe precipitare. Ma le forze del dittatore Bashar Assad potrebbero fare la prima mossa, eliminando il giovane Hariri ed esportando il conflitto in Libano come altre volte è successo. Un incendio ancora più vasto in tutta la regione, con lo scoppio di una guerra civile in Libano tra l’Hezbollah filo-iraniano  e le forze democratiche, permetterebbe al regime di Damasco di distogliere l’attenzione internazionale dalla repressione interna, e di fare temere un allargamento del conflitto a Israele, sotto la perenne minaccia dei missili di Hezbollah. A Parigi, Saad Hariri viene protetto con le cure riservate a uno dei pochi alleati dell’Occidente nella regione. Al numero 3 di Quai Voltaire, i coniugi Chirac vivono ancora nell’appartamento su due piani con vista sulla Senna messo a disposizione nel 2007 dalla famiglia Hariri, grande amica loro e della Francia. Il portavoce del Quai d’Orsay Bernard Valero ha dichiarato che «la sicurezza dell’ex primo ministro Saad Hariri, come quella di tutto il Libano, è una priorità per la Francia»

Giuseppe Sarcina: " La nuova Tunisia teme gli islamisti in ascesa "


un sogno presto finito

DAL NOSTRO INVIATO TUNISI— Nei rapporti dei diplomatici occidentali sulla Tunisia sono definiti una «criticità» . Sulla rete virtuale del Paese (Facebook) e su quella materiale (bar e mercati), corrono giudizi molto più pesanti: «maschilisti» , «talebani» , «ex terroristi» . In mezzo la «katiba karsa» , (la maggioranza silenziosa) appare un po’ spiazzata e un po’ incuriosita dal fenomeno politico del momento. Il partito di ispirazione islamica, Ennahda (la Rinascita), è in testa nei sondaggi a quattro mesi dalle elezioni per l’assemblea costituente (ufficiosamente fissate per il 23 ottobre) e proprio mentre si apre (domani la prima udienza) il processo al presidente-dittatore Ben Ali, rifugiatosi in Arabia Saudita e inseguito da una richiesta di estradizione che sta per essere formalizzata. Agli inizi di giugno alla formazione guidata da Rachid Ghannouchi veniva attribuito il 16,9%delle preferenze di voto, ben al di là del 9,5%accreditato allo storico partito socialdemocratico Pdp di Nejb Chebbi. Islamisti e socialdemocratici sono gli unici giganti in una folla di 93 partiti nani o mezze promesse (come i liberali, i nazionalisti e i comunisti). Le associazioni delle donne sono in allarme. Dal 1956 in poi la Tunisia ha costruito un sistema di pari opportunità tranquillamente paragonabile agli standard occidentali. I laici del Paese sono diffidenti, come spiega Raouf Kalsi, editorialista del quotidiano Le Temps: «Ennahda è una nebulosa con posizioni ambigue sullo Stato di diritto. E poi non si capisce chi li finanzia. Temo ci siano dietro l’Arabia Saudita e il suo modello di integralismo wahhabita. Con il placet degli americani» . A questo punto urge verifica. La sede di Ennahda è un bel palazzotto di cinque piani nel quartiere amministrativo della capitale. Tutto nuovo. Ha aperto da due mesi, ma negli uffici non ci sono cassette di frutta al posto dei tavoli, bensì poltrone in pelle nera, computer, uscieri in completo blu fresco lana. E dopo pochi minuti di attesa arriva Nabil Labassi, un avvocato di 46 anni, membro del «gabinetto politico» . Labassi spiega subito che lì sono tutti «volontari» e porge una lunga lista di ingegneri, legali, professori, ricercatori, contabili, medici e persino animatori. E'il gruppo dirigente del partito. Molti di loro hanno scontato 12-15 anni di carcere duro, altri sono rientrati dall’esilio. Labassi si aspetta la sequenza delle domande e risponde senza esitazione, come fosse un test per la «patente di democratico» . Dunque: la parità uomo donna? «Non si tocca. Anzi noi siamo l’unico partito che ha proposto di inserire l’obbligo di riservare alle donne metà dei posti nelle liste per le elezioni» . Il velo? «Permesso, ma non obbligatorio» . Il divorzio? «Nessun problema, resta» . La poligamia? «Che cosa? Non scherziamo, non se ne parla neanche» . L’aborto? «Forse si può inserire qualche limite a tutela della salute della partoriente, ma ne vogliamo discutere con tutti gli altri partiti» . Il divieto di bere alcolici? «Il massimo che possiamo è vietarne la vendita ai minori» . E’ vero che volete cacciare gli investitori stranieri? «Al contrario, sono i benvenuti e vogliamo collaborare con loro» . E così via. Sarebbero questi i talebani? I cripto-sauditi? A proposito chi finanzia Ennahda? «Da sempre girano voci su presunti finanziatori occulti, l'Arabia Saudita, gli Stati Uniti, l'Iran. Ma il nostro modello, se mai, è la Turchia di Erdogan. Le nostre risorse vengono dai militanti, ci sono almeno 50 mila tunisini che versano ogni mese il 3-5%del proprio salario, in più riceviamo donazioni dai nostri connazionali all’estero» . Se davvero è così sarebbero, calcolando a spanne, almeno 6-7milioni di euro all’anno: in Tunisia sono soldi. Eppure c’è qualcosa che non torna. C’è troppo scarto tra la versione del dirigente islamista e le opinioni correnti. Ma andando avanti si entra in una zona d’ombra. Ennahda è forse l’unica formazione che ha aperto una sede nei 24 governatorati e un ufficio in ogni distretto del Paese. Nel palazzotto di Tunisi ammettono di non sapere neanche chi siano tutti questi militanti. E si vede, si sente. Su Facebook sono attivi almeno 600-700 profili di persone che parlano a nome di Ennahda. Ma sono proprio i raduni improvvisati nelle città tunisine, i proclami lanciati sul web e alla tv dai «buoni musulmani» ad alimentare la diffidenza verso il partito islamico. C’è chi invoca l’applicazione stretta della «sharia» (frustate comprese), chi suggerisce di risolvere il problema della disoccupazione, dando agli uomini i posti occupati dalle donne, che vanno invece segregate in casa. Per ora confusione e ambiguità stanno portando quei consensi necessari per negoziare con gli altri partiti da una posizione di forza. Perché Ennahda vuole comandare.

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