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Corriere della Sera Rassegna Stampa
27.02.2011 La biografia di Theodor Herzl, di Luigi Compagna
Recensione di Arturo Colombo

Testata: Corriere della Sera
Data: 27 febbraio 2011
Pagina: 35
Autore: Arturo Colombo
Titolo: «Theodor Herzl, l'utopista che fondò il sionismo»

Sul CORRIERE della SERA di oggi, 27/02/2011, a pag.25, con il titolo "Theodor Herzl, l'utopista che fondò il sionismo", Arturo Colombo recensisce l'importante biografia di Theodor Herzl scritta da Luigi Compagna. Ne abbiamo già scritto su IC, ma l'occasione si presta per ricordarne la lettura a chi non l'avesse ancora letto.
Ci permettiamo un lieve appunto a quell' >utopista< nel titolo, forse >realista< era più giusto, non vanno dimenticate le parole profetiche di Herzl " se lo vorrete...". Aveva visto giusto.
Ecco l'articolo:


la copertina del libro (Rubbettino ed), Luigi Compagna

Ha avuto un’ottima idea Luigi Compagna a intitolare Theodor Herzl. Il Mazzini d’Israele il suo libro, uscito con la prefazione (postuma) di Francesco Cossiga (Rubbettino, pp. 250, € 15), che sottolinea come «ripercorrere le vicende del sionismo e del suo fondatore potrà essere utile a ripercorrere anche le nostre, a riscoprire, nel bene e nel male, uomini e idee, a "ripassare"i valori fondanti che hanno dato vita al nostro Paese» . Infatti, sostenere — come fa Compagna — che Herzl fu un «singolare impasto di idealismo e di spirito pratico» significa cogliere alcune decisive affinità con il fondatore della Giovine Italia, in primis la «fusione dello spirito patriottico con quello religioso» . Nato a Budapest e vissuto dal 1860 al 1904 — dunque, a non poca distanza rispetto a Mazzini (1805-1872) —, Herzl comprese, e si comportò di conseguenza con grande capacità, come proprio durante l’Ottocento, che era il secolo delle nazionalità, occorreva il coraggio di sostenere con fermezza— come farà a Basilea, nel 1897, istituendo il primo congresso sionista mondiale — che gli ebrei, se volevano salvarsi da persecuzioni e discriminazioni ricorrenti, dovevano impegnarsi a creare «uno Stato come gli altri» . A prima vista, Herzl poteva sembrare «un politico dell’irrealtà» che, sconvolto dal famigerato affaire Dreyfus, aveva lanciato al mondo quel «piccolo grande» libro, dal titolo semplice e paradigmatico, Lo Stato ebraico, dove sosteneva, fin dal 1896, che dare vita a un simile Stato costituiva «una necessità universale» . Da qui, spiega bene Compagna, l’opera febbrile di Herzl si sviluppa in due direzioni complementari: sia per «mobilitare le risorse spirituali e materiali del suo popolo disperso» (creando, per esempio, quel «parlamento della nazione ebraica» , da lui stesso presieduto fino all’ultimo giorno della sua vita), e sia per «convincere gli altri popoli ad aiutarne il risorgimento» . Interessa poco, almeno a mio avviso, verificare che Herzl, dopo aver indicato la Palestina come «una terra senza popolo per un popolo senza terra» , di fronte alle continue difficoltà per «risuscitare il progetto del Sinai» , aveva optato per una zona dell’Uganda. Trovo molto più eloquente e ben documentata tutta l’analisi che Compagna dedica a ripercorrere quelle che definisce «le buone ragioni» , su cui farà leva Herzl nel giro pur breve degli anni che gli rimanevano da vivere, affinché quella che poteva sembrare una generosa «utopia» riuscisse a farsi strada, a trovare sempre nuovi consensi, per legittimare così quell’obiettivo di lotta, che avrà bisogno di anni ma che si realizzerà finalmente nel 1948, proprio nell’antica terra dei padri. Mi pare, quindi, esatto il giudizio conclusivo di Compagna, quando insiste a spiegare come mai e perché l’azione, pionieristica eppure così fondamentale, di Herzl ha «inizio in diaspora, velata di lacrime e afflizione, ma si conclude, luminosa e libera, in terra d’Israele» .

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lettere@corriere.it

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