Dal CORRIERE della SERA del 19 ottobre 2007:
BERLINO — Ci sono storie che, come i peggiori fantasmi, restano nell'aria per decenni. Poi, all'improvviso, si materializzano e lasciano senza fiato. Questa è una di quelle. La notte tra il 24 e il 25 marzo 1945, le truppe dell'Armata Rossa erano a 15 chilometri dal castello di Rechnitz, sul confine tra Austria e Ungheria, residenza di Margit Thyssen-Bornemisza, maritata al conte Ivan Batthyany. Che il Terzo Reich fosse al crollo era chiaro, ma gli dei caduti erano più sprezzanti e mostruosi che mai. Margit organizzò l'ultima festa: 40 persone, tra Gestapo, SS e giovani nazisti.
Fino a mezzanotte, balli, vino, liquori. A quel punto, però, serviva qualcosa di speciale che potesse fare ricordare quei momenti cruciali. Franz Podezin, un amministratore della Gestapo che aveva anche una relazione sessuale con la Thyssen-Bornemisza, prese l'amante e una quindicina di ospiti, li armò e li accompagnò a una vicina stalla. In alcuni locali del castello, erano ospitati (in condizioni tremende) circa 600 ebrei che avevano il compito di rafforzare le difese della zona e Podezin ne aveva presi 200, non più in grado di lavorare, e li aveva portati in quella stalla. Raggiuntala assieme agli ospiti li invitò a sparare «a qualche ebreo».
Cosa che i pazzi ubriachi fecero dopo avere fatto denudare le vittime. Un massacro. Un certo Stefan Beiglboeck, la mattina dopo, ancora si vantava di averne massacrati sei o sette a mani nude. Tutti morti, tranne 15 che dovettero scavare le fosse e che il giorno successivo furono ammazzati a loro volta. I sovietici arrivarono pochi giorni dopo, il 29 marzo, e il 5 aprile compilarono un rapporto nel quale dicevano che «in tutto sono state trovate 21 tombe» ciascuna delle quali conteneva dai dieci ai dodici corpi. «Apparentemente — aggiungeva — sono stati colpiti con bastoni prima di essere uccisi» con armi da fuoco. Il documento fu ritenuto propaganda comunista e dimenticato. Poi, negli Anni Sessanta, alcuni processi per stabilire i fatti finirono in nulla dopo l'omicidio di due testimoni chiave. Un giornalista austriaco, negli Anni Ottanta, abbandonò un'inchiesta dopo avere ricevuto minacce. E una registrazione inviata alla tv viennese Orf, nella quale una vecchia testimone oculare raccontava la sua storia, andò perduta.
Margit Thyssen-Bornemisza scappò in Svizzera, dove il padre Heinrich aveva vissuto durante la guerra — a villa La Favorita di Lugano — e da dove aveva diretto le forniture di acciaio e munizioni che le sue fabbriche garantivano al Terzo Reich. Morì nel 1989, mai perseguita, dopo essere tornata sul luogo del massacro, per una battuta di caccia.
Questo è il terribile segreto dei Thyssen-Bornemisza così come lo ha ricostruito e raccontato David Litchfield, un autore inglese, qualche giorno fa sull'Independent di Londra e, ieri, sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, probabilmente il giornale tedesco più autorevole. E qui sta la parte interessante dello sviluppo che potrebbe avere la storia: per la prima volta, in Germania si parla apertamente di una vicenda che tocca il cuore della famiglia Thyssen, una delle più famose e ricche d'Europa, industriali, collezionisti d'arte e jet-set di prima fila. Che la dinastia si fosse arricchita con le forniture militari durante la prima guerra mondiale e poi durante il nazismo è cosa nota anche se poco raccontata. Ora, però, le accuse arrivano direttamente in casa, in Germania. Ed è quella notte del marzo 1945 che può diventare il tragico fantasma dei Thyssen-Bornemisza.
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