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Rassegna Stampa
19.07.2014 Le 'parole malate' su Israele
L'opinione di David Meghnagi

Testata:
Autore: David Meghnagi
Titolo: «Curare le parole per il dialogo»
Riprendiamo dall'UNITA' di oggi, 19/07/2014, a pag. 13, l'articolo di David Meghnagi dal titolo "Curate le parole per il dialogo"


David Meghnagi


Manifestazione antisraeliana

«In tempi bui che confondo il giudizio - scrive freud in una lettera a Thomas Mann- "le parole del poeta sono azioni"». Quei tempi sono per fortuna alle spalle. L'ammonimento resta però valido. II mondo odierno è sovraccarico di pericoli. Il razzismo e l'antisemitismo sono un pericolo per la Civiltà. Non si può abbassare la guardia di fronte alle parole «malate» in cui è avviluppato il dibattito sul conflitto arabo-israeliano. Le parole malate hanno bisogno di cure come le persone. Se vogliamo essere di aiuto in queste ore di angoscia, dobbiamo curare innanzi tutto le parole, non dicendo nulla di cui un giorno potremmo provare vergogna, se vogliamo contribuire nel nostro piccolo a una composizione politica del conflitto fra israeliani e palestinesi. Sono nato e cresciuto in un Paese arabo che ho lasciato per sempre dopo un sanguinoso pogrom, il terzo nella storia della mia famiglia in poco più di 20 anni. Lungo l'arco di due decenni, centinaia di migliaia di ebrei hanno forzatamente abbandonato le loro case e i loro averi, in ogni area del mondo arabo e islamico. Le minoranze ebraiche non avevano partecipato alla guerra di distruzione scatenata dagli eserciti della Lega araba. Si trattava di comunità indifese e lontane dal teatro di guerra. Fu una fuga silenziosa, ignorata dalla stampa e dalle Nazioni Unite. Se gli Stati arabi avessero accettato il voto di spartizione dell'Assemblea delle Nazioni Unite, forse la storia avrebbe preso una piega diversa. Nel giorno in cui si festeggia la nascita di Israele, avrebbero potuto far festa anche i palestinesi. La questione dei profughi, data la reciprocità che si era determinata, poteva essere considerata come uno dei tanti dolorosi «scambi» fra popolazioni, avvenuti, dopo la II guerra mondiale. Invece no. Per volontà degli Stati arabi e con la collusione delle Nazioni Unite, sono stati trasformati in profughi permanenti, con la conseguenza di rendere impossibile una composizione politica del conflitto. Oggi nessuno chiederebbe il ritorno allo status demografico del 1939. Solo per Israele, si agisce diversamente. Non sarà forse perché l'esistenza di Israele, non è mai stata in realtà accettata? La demonizzazione di Israele è il risultato di una costruzione politica e culturale, che ha purtroppo percorso molta strada negli anni, in cui confluiscono molti elementi. In Europa è il risultato di una convergenza dell'antisionismo di matrice sovietica e terzomondista con l'antisemitismo di matrice cristiana e preconciliare, e con quello dichiaratamente razzista. Nella cultura islamica e panaraba è una sintesi del rifiuto teologico dell'esistenza di uno Stato ebraico indipendente nel cuore dell'umma islamica, con elementi dell'ideologia terzomondista e dell'antisemitismo razzista e hideriano. La falsa equazione delle vittime che si trasformano in «carnefici» non è solo un'infame menzogna. Esprime in realtà un desiderio degli antisemiti. Se Israele, fosse come viene follemente e falsamente descritto dalla nuova accusa antisemita, i conti col passato sarebbero «pareggiati». In questa logica, le colpe del passato non sono più tali. «Confessando» le colpe del passato, presentandosi come schierati dalla parte dei più «deboli», si ridiventa «liberi». La falsa rappresentazione di Israele come Stato occidentale ed europeo, mediante il quale l'Europa ha scaricato su altri le proprie colpe, è un tassello importante di questa costruzione. Israele diventa il capro espiatorio di tutto ciò che non funziona nei rapporti tra le sue sponde del Mediterraneo. Siamo di fronte a una riproposizione perversa delle antiche categorie dell'odio teologico contro gli ebrei. Nella logica del cristianesimo preconciliare, gli ebrei si liberavano dalla «colpa» ontologica convertendosi. In quello razzista non avevano scampo. Nel «nuovo» antisemitismo, possono diventare «umani», demonizzando Israele e delegittimandolo. La demonizzazione nel mondo arabo e islamico è un alibi per occultare i fallimenti della decolonizzazione e le colpe verso le loro minoranze religiose perseguitate e costrette alla fuga. Lo schiavismo, lo sfruttamento degli immigrati, la persecuzione delle minoranze religiose, la dilapidazione delle ricchezze, il terrorismo, sono in questa logica falsamente rappresentati come l'esito di un complotto esterno di cui Israele sarebbe l'agente principale. In questa logica perversa, l'antisemitismo può essere falsamente declinato come «antirazzismo» e di «anticolonialismo». Israeliani e palestinesi hanno in realtà bisogno l'uno dell'altro. Sono popoli fratelli che dovranno un giorno apprendere come convivere, sublimando il dolore, ritrovando la speranza per un futuro diverso per le generazioni che verranno. Anche per questo, pur essendo fuggito da un Paese arabo, dopo un sanguinoso pogrom, ho conservato l'uso della lingua araba, accanto all'ebraico e all'aramaico, come una promessa futura di pace fra arabi, israeliani e palestinesi, di fratellanza per l'intero bacino del Mediterraneo. «Chi vive in un'isola deve farsi amico il mare», così recita un antico proverbio arabo. Israele è una piccola isola accerchiata da un oceano arabo e islamico. Farsi amico «il mare arabo» è per Israele un'esigenza politica e morale. Come insegna il Talmud, grande è non chi vince sul nemico, ma chi riesce a trasformarlo in amico. Aprirsi un varco nel cuore dei vicini, risanare le ferite sanguinanti, restituire significato alla sofferenza, costruire uno spazio per un futuro diverso è per Israele una necessità per restare fedele alla sua vocazione, pur sapendo di non possedere tutti gli strumenti per giungere a una composizione politica del conflitto con i vicini. L'accettazione piena di Israele e della sua esistenza nella sua antica striscia di terra madre libererebbe l'Islam dalla pastoia di una lettura religiosa del conflitto, aprendo la via a un rinnovamento culturale e religioso. II futuro del mondo arabo e dell'Islam poggiano sulla scommessa di una possibile coesistenza in un'area del mondo dove i destini dell'Occidente e dell'Oriente appaiono divisi. Accettare l'esistenza di Israele è per la civiltà araba e islamica la condizione per rompere la catena di violenze e lutti in cui è avviluppata. L'Europa e il mondo arabo, l'Occidente e l'Islam potranno parlarsi se Israele, in pace col mondo arabo, sarà presente come testimone dei propri lutti e dei loro.

Per esprimere la propria opinione all'Unità telefonare al numero 06/585571 o cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@unita.it

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