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Come si costruisce una notizia Joint News Media Service (Traduzione di Yehudit Weisz)
Una drammatica foto dell’Agence France-Presse ha scosso i lettori di molti siti web e blogs: si vede un gruppo di giovani palestinesi vicino a Hebron, che sfondano con grosse pietre il parabrezza della macchina di un’automobilista israeliana che passava di lì il 21 febbraio scorso. La reazione istintiva della donna è stata quella di rannicchiarsi a testa bassa, restava in primo piano il potente SUV, da sembrare quasi un’arma contro la folla. Intanto un video-operatore, coperto da un passamontagna, appostato dietro a uno dei lanciatori di pietre, filmava la scena del parabrezza che andava in frantumi. Il cameraman aveva inquadrato bene la ripresa. "Alla mia sinistra c’erano almeno altri due fotografi, in attesa di riprendere ciò che sarebbe accaduto”, ha riferito ai media locali l’automobilista Zahava Weiss, abitante a Carmei Tzur. Molti Israeliani sono stati uccisi e altri feriti dal quasi quotidiano lancio di pietre. Nell’incidente del 21 febbraio, la prima domanda che molti si posero, fu se la scena fosse stata montata ad arte dai media, e in quale misura il cameraman fosse d'accordo, con la banda di lanciatori di pietre per ottenere degli “effetti speciali”. Questa situazione evidenzia quello che è diventato un segreto di Pulcinella: c’è un rapporto di simbiosi di dubbia professionalità, etica e morale tra fotografi e palestinesi. I primi hanno bisogno di immagini drammatiche e di filmati per agenzie e giornali, e la “shabab”(la banda, in arabo) vuole che le sue imprese violente vengano registrate per ottenere visibilità a livello internazionale. Ma il pubblico all’estero non vedrà mai come sono state ottenute quelle immagini, e le considererà vere, così come penserà che il cameraman sia arrivato lì per caso, al momento giusto. Questo fenomeno, soprannominato “fauxtography”, mi è parso chiaro nel dicembre 2010, in un episodio fra squatters arabi e ebrei a Gerusalemme Est, nei dintorni di Silwan e Shiloach. Tenete presente questa immagine: un adulto, un fotografo, con il tesserino da giornalista, stava incitando un ragazzino a lanciare pietre e bottiglie contro poliziotti in divisa anti-sommossa, al solo scopo di ottenere delle scene d’azione migliori, indifferente alle possibili conseguenze per se stesso, la polizia, gli altri presenti, attento solo alle reazioni dei media locali e internazionali. Anche un uomo, che si trovava dietro al ragazzo, urlava “Allah Akbar” per eccitare l'intero gruppo. Era facile identificarlo con il “ manipolatore”, come lo chiamo io, l’impresario che da dietro le quinte aveva organizzato quella azione “spontanea”. I ragazzini correvano e lanciavano lanciare le pietre, poi tornavano indietro per ripararsi dall’arrivo di cinque o sei poliziotti, nascondendosi dietro i giornalisti al fondo del vicolo. Il manipolatore confabulava con loro, mentre i fotografi avevano la scena libera per riprendere i poliziotti all’assalto. Poi, stando in piedi tra i fotografi e i poliziotti, scegliendo il momento migliore, sollevò il ragazzo, che teneva il braccio teso con il pugno chiuso, nel preciso momento in cui scattavano i flash delle macchine fotografiche. Ecco come sarebbe stata poi raccontata quella scena: “un agente armato della polizia israeliana, con l’uniforme nera delle forze speciali, sfida un piccolo e inerme palestinese” Ero professionalmente e personalmente inorridito di fronte a quella complicità tra arabi e giornalisti: un’efficiente macchina di pubbliche relazioni fatta a uso e consumo dei media stranieri. http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90 |
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