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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Nava Semel, E il topo rise 12/03/2012

E il topo rise                                        Nava Semel
Traduzione di Elisa Carandina
Atmosphere libri                                   euro 16


“Una strana sensazione di urgenza la coglie come un colpo sparato da un cecchino. Forse è questa la vecchiaia. Non può concedersi che la storia svanisca come se non fosse mai accaduta…questa storia deve essere raccontata integralmente, sente una voce dirle dentro, perché i detentori di storie vanno esaurendosi…”

Un’opera commovente e indimenticabile sul valore della Memoria, sulla sua costante presenza nella coscienza dell’uomo e sull’importanza della trasmissione del Ricordo dell’Olocausto alle generazioni future: l’ultimo libro della scrittrice israeliana Nava Semel esce in Italia per la casa editrice Atmosphere con il titolo “E il topo rise”.
Una delle voci più intense del panorama letterario israeliano, Semel che ha lavorato a lungo per la televisione e per la radio, è autrice di teatro, poetessa oltre che scrittrice per l’infanzia. In Italia si è fatta apprezzare per opere indimenticabili come “Lezioni di volo”, “L’esclusa”, “Il cappello di vetro”. In quest’ultimo ritornano le tematiche che nei libri per ragazzi appaiono sullo sfondo: la difficoltà dei sopravvissuti allo sterminio nazista di inserirsi in una società che vuole che si continui a vivere a costo di rimuovere il passato.
Dopo la struggente raccolta di racconti “I segreti del cuore” dedicata agli adolescenti Nava Semel torna ad affrontare il tema della Memoria dell’Olocausto e lo fa con un’opera originale, un esperimento letterario innovativo che intreccia mirabilmente il presente, il passato e il futuro.
Declinandosi nell’arco di 150 anni “E il tipo rise” - che non è un romanzo e neppure un saggio - si articola in cinque capitoli con altrettanti piani narrativi: la storia, la leggenda, la poesia, la fantascienza e il diario.
Nel primo siamo a Tel Aviv e la storia prende avvio in una giornata di fine 1999 quando dalla voce di un’anziana donna ebrea erompe - come una necessità impellente - il racconto alla giovane nipote delle terribili esperienze vissute durante la persecuzione nazista, quando all’età di cinque anni i genitori, per sottrarla alla deportazione, la affidano ad una famiglia di contadini polacchi che la accolgono, non per amore, ma per un lauto compenso. La bimba rimane nascosta per un anno in una cantina buia adibita a deposito di patate,  con poco cibo e subendo quotidianamente le violenze di Stephan, il figlio dei contadini.
In questo universo di orrore il senso di abbandono, la collera e la nostalgia si mescolano e si sedimentano nel piccolo cuore innocente lasciando cicatrici indelebili come pure la consapevolezza che “essere ebrea” è la causa di tutte quelle violenze e dunque una condizione da rigettare. E’ solo la presenza di un topo, un animale che nell’immaginario collettivo suscita repulsione, ad alleviare la sua angoscia.
Nel secondo capitolo, scegliendo il registro della favola, l’autrice definisce meglio il racconto della nonna e lo fa attraverso la voce della nipote che, adempiendo al compito assegnatole in classe di raccogliere la testimonianza di un superstite alla Shoah, condivide con l’insegnante la vicenda drammatica dell’anziana (“…ho pensato a quello che ci hai detto in classe, che questa è l’ultima occasione perché gli ultimi testimoni possano raccontarci di prima mano quello che è accaduto loro in quell’epoca tremenda e che tra poco non ce ne saranno più”).
E’ proprio in questa parte del libro, di forte impatto emotivo, che si coglie appieno il significato del titolo dell’opera: il topo, secondo uno dei miti della creazione, ha chiesto a Dio il dono della risata ma ben presto si accorge di quanto miserabile sia quel dono…..
A fianco del delicato rapporto che unisce nonna e nipote, un legame fatto di attenzioni reciproche, emerge dalla penna sapiente dell’autrice il dissidio che contrappone l’anziana superstite alla figlia di seconda generazione che, incapace di cogliere il valore della testimonianza della madre, vorrebbe impedire alla ragazzina di conoscere quel prezioso e unico tassello di Storia (“….penso che tu sia troppo giovane questo genere di progetti si fanno al liceo prima della gita di classe ai campi di sterminio in Polonia. Domani vado dalla direttrice a lamentarmi dell’insegnante”).
Se la terza parte del libro racchiude poesie e filastrocche sulla bambina e il topo diffuse su Internet, la quarta, dallo stile narrativo più ermetico, è proiettata nel 2099 quando un antropologo si dedica attraverso studi e ricerche a scoprire le origini del mito della bambina e del topo.
L’ultimo capitolo del libro è, a parere di chi scrive, il più intenso e commovente: sono pagine da leggere più volte sia per assaporare l’alta cifra linguistica, a tratti poetica, sia per cogliere nel profondo le inquietudini e i rovelli che si agitano nell’animo di padre Stanislaw, il sacerdote al quale la contadina lascia la piccola quando capisce che i genitori non potranno più pagare alcun compenso. Anziché consegnarla ai nazisti quest’uomo dal cuore buono e generoso si prende cura di un essere innocente che la crudeltà degli uomini ha violato. A questa missione così ardua per chi non ha avuto né figli né moglie il sacerdote, che può essere considerato un vero Giusto, si dedica con grande dedizione per sanare le ferite fisiche e morali della bambina, affidando alla stesura di un diario il compito di trasmettere la Memoria.
Padre Stanislaw, una delle figure più significative del libro, si pone domande cruciali sul perché Dio abbia consentito l’Olocausto senza riuscire però a darsi una risposta e in questo tentativo di conciliare la fede in Dio e nell’umanità si rende conto di aver perso ogni speranza.
Pubblicato in Germania nel 2007 l’ultimo libro della scrittrice israeliana è diventato un’eccellente opera lirica diretta da Oded Kotler e ora è in preparazione l’adattamento cinematografico.
Solo una scrittrice di talento indiscutibile come Nava Semel riesce a catturare il lettore dalla prima all’ultima pagina con un testo così originale e complesso nella struttura narrativa e nella proiezione temporale, inducendo nel lettore riflessioni e domande imprescindibili: cosa significa ricordare? Qual è il modo migliore per trasmettere la Memoria dell’Olocausto quando i testimoni non avranno più voce?
L’artista, come l’uomo comune, è depositario della Memoria e a lui spetta il compito di tramandare il Ricordo della Shoah alle future generazioni perché - scrive Primo Levi -“Comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”.
Nava Semel assolve in modo magistrale a questo compito con un testo che vibra per la forza delle emozioni narrate attraverso la dura concretezza delle parole.


Giorgia Greco


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