sabato 18 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






 
Antonio Donno
Israele/USA
<< torna all'indice della rubrica
Willy, il romanzo di Israel Joshua Singer sul self made man ebreo 03/05/2024

Willy, il romanzo di Israel Joshua Singer sul self made man ebreo
Recensione di Antonio Donno

Willy, romanzo breve di Israel Joshua Singer, scritto negli anni '30, è la storia di un ebreo polacco che fugge alla tradizione chassidica della sua famiglia ed emigra negli Usa, dove diventa un agricoltore-modello amato dai vicini. 

Da Volf a Willy, dalla Polonia antisemita agli Stati Uniti dell’American dream, il giovane ebreo polacco si distingue dai suoi correligionari perché è forte, sano, muscoloso, dedito all’agricoltura e all’allevamento del bestiame, passione incoercibile che lo separa dagli altri ebrei, smunti, barbuti, malaticci, dediti allo studio della Torah. Volf Rubin, estraneo agli studi ebraici perché insopportabilmente noiosi, si stacca dalla terra avita e dalla sua gente contraria alla vita dei campi, abbandona i suoi genitori con grande sofferenza del padre, che lo avrebbe voluto un pio ebreo, abile nel recitare la dottrina ebraica in ogni sua versione, ed emigra negli Stati Uniti, la terra dove potrà coltivare i suoi sogni di agricoltore e allevatore.

     È questa la parte iniziale dell’inedito di Israel Joshua Singer, Willy (Firenze, Giuntina, 2024, traduzione dall’ebraico di Enrico Benella, postfazione di Enrico Benella), splendido romanzo breve che descrive un aspetto diverso, quasi inconciliabile rispetto all’ebraismo presente nei suoi capolavori, una sorta di non-ebraismo di un ebreo che per inclinazioni, volontà, passione si pone all’opposto dell’ebraismo chassidico della sua comunità di appartenenza, lo rifiuta e va negli Stati Uniti, nella campagna americana, dopo un primo approccio a una città come quella di New York, che lo sconvolge. Così, per i coltivatori americani, che vivono vicini alla sua fattoria, Volf è Willy, e la moglie di Willy, Esther, goje per nascita, gli è immensamente devota. Prima ambulante, poi definitivamente agricoltore e allevatore, Willy vive con Esther una vita tranquilla, economicamente solida, finalmente lontana dai rimproveri estenuanti del padre e degli altri ebrei polacchi dediti al chassidismo.

     Il romanzo di Singer, come ho detto, si distingue dai suoi celebri romanzi pubblicati negli Stati Uniti, I fratelli Ashkenazi del 1937 e La famiglia Karnowski del 1943. Singer si era trasferito nel Nuovo Mondo nel 1933, forse per gli stessi motivi che spingono Willy a lasciare una terra così intrisa di dogmatica ebraica da non lasciare spazio per l’intraprendenza di un giovane che vuole vivere una vita fatta di azione e di innovazione. Singer pubblicò Willy a puntate su «Der Forverts» nel 1936, dando vita a una narrazione che distingue il romanzo dalla tradizione della prosa ebraica quasi sempre incentrata sul timore di essere in pericolo, di sentirsi irrimediabilmente in esilio e di provare un senso irriducibile di sradicamento. Volf Rubin, poi Willy Robin in America, arriva a New York, da dove scappa in preda al panico: «Come un animale uscito dalla gabbia, Volf Rubin fuggì con gioia ed entusiasmo da quella città tutta pietra e fumo, verso strade ampie e libere fino all’orizzonte, verso prati, campi e fiumi» (p. 33). Con un desiderio che lo bruciava: «Ora era pronto ad andare in capo al mondo pur di avere al suo fianco un cavallo» (p. 31).

     Nella sua fattoria Willy è felice, sempre pronto a passare ore nelle stalle tra i suoi cavalli, dedito, insieme alla moglie, a piantare alberi e raccogliere frutti, a torso nudo all’aria aperta – grave peccato per la dottrina ebraica –, e, con il passare del tempo, frequenta gli ebrei della vicina cittadina, che lo apprezzano sempre più. Ciò gli riportò alla mente un ricordo della sua fanciullezza e dei suoi genitori, che decise di far venire negli Stati Uniti. L’arrivo del padre, reb Hersch, nella campagna americana significò l’ingresso nella fattoria di Willy dell’ebraismo chassidico e i suoi continui rimproveri all’indirizzo del figlio che aveva rinnegato le sue origini. Molti ebrei della cittadini si unirono a reb Hersch, ritrovando e apprezzando l’insegnamento del padre di Volf/Willy. Ben presto Willy si trovò in una situazione opposta a quella che aveva creato nel corso degli anni. Era nella stalla: «Pensò di andarsene da lì come già dallo shtetl, quando all’improvviso se ne era andato di casa di notte e aveva passato la frontiera. I cavalli allungarono il muso per farsi carezzare e nitrirono languidamente verso di lui» (p. 117). L’ottima postfazione di Benella suggella bene il romanzo di Singer: «L’esilio volontario che lo ha portato in America ha un che di esistenziale e lo sradicamento appare ancor più netto […]. Ma allo stesso tempo non è forse ebraicissima anche la figura dell’“ebreo errante” (per quanto sia uno stereotipo inventato dai goyim)?» (p. 130).   

Antonio Donno
Antonio Donno                                         


Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT