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David Braha
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Politically Correct: l'uso di parole ovattate per non offendere chi ci vuole morti 23/08/2010

Politically Correct: l'uso di parole ovattate per non offendere chi ci vuole morti
di David Braha

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http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=36135

Avete sentito l’ultima di Obama? Oggi, ad appena nove anni dall’11 Settembre, costruire una moschea a Ground Zero è legittimo, è normale, è democratico.  Come si può accettare l’idea di costruire un santuario all’islam proprio nel luogo in cui l’islam ha ferito più a fondo l’Occidente? Non sarebbe come mettere una statua di Hitler davanti ad Auschwitz? I possibili ‘perché’ sono numerosi, forse infiniti. Ma è inutile lambiccarsi il cervello cercando potenziali spiegazioni: meglio risalire alla fonte, trovare la radice del problema, e diamogli anche un nome.

“Politically correct” è questo il dramma dell’Occidente contemporaneo. È l’autolesionismo allo stato puro; è l’accettare a priori l’uso di parole ovattate per non offendere chi ci vuole morti. Niente a che fare con la diplomazia. Quella è un’arte: il politically correct, invece, non è che una sua degenerazione. E allora un avvertimento: come le controindicazioni sul retro delle scatole delle medicine. Io non sono politically correct. Questo articolo non è politically correct.

Secondo Obama, accettare la costruzione di una moschea a Ground Zero è un’espressione di democrazia; non farlo sarebbe discriminatorio, forse addirittura razzista. Perché è così che si viene etichettati se non ci si piega all’uso del politicamente corretto: razzisti. Eppure affermare che l’Islam è una religione diversa dalle altre, non equiparabile alle altre religioni del mondo, almeno quelle contemporanee, non è razzismo. È realismo. Razzismo è quando si afferma che “loro” sono inferiori a “noi”. Ma parlare in termini di “Occidente” e di “Mondo Islamico”, di “noi” e di “loro”, significa solo riconoscere esplicitamente la diversità tra due categorie, senza giudizi su chi è meglio o chi è peggio – per quanto ciascuna di tali categorie contenga infinite sfumature culturali, linguistiche e religiose al proprio interno. C’è chi direbbe che una visione del mondo basata su un’opposizione dicotomica del genere non fa altro che incentivare l’astio e la sfiducia reciproca: ma allo stesso tempo immaginare un mondo in pace, in cui tutti si vogliono bene, in cui si ‘disinventa’ la bomba atomica (Obama?!) in nome dell’amore fraterno significa, purtroppo, vivere in una fiaba. Ciò non vuol dire che ci piace la guerra, o che godiamo nel sentire di persone, eserciti e popoli che si massacrano a vicenda: piuttosto, vuol dire accettare l’esistenza di un aspetto cupo, ma pur sempre normale, dell’animo umano.

            Ma torniamo all’Islam. È razzismo notare che quasi ogni giorno sulle pagine dei quotidiani leggiamo di uccisioni, attentati, tensioni, conflitti perpetrati in nome di Allah? No, non lo è: come detto, è realismo. Perché tutte le maggiori guerre che si combattono al giorno d’oggi, portano la firma di Maometto. E i maggiori attentati terroristici nei confronti di civili nella storia, anche quelli portano tutti la stessa firma. Le Torri Gemelle, Madrid, Londra; ma anche più recentemente, a Mumbay, in Iraq e in Afghanistan (all’ordine del giorno), o a Times Square, sul volo Amsterdam-Detroit, alla base militare di Fort Hood in Texas… qualcuno ha mai sentito di un finlandese, o di un francese, o di un americano, o di un cinese, o di un italiano, o di un israeliano che si è messo la cintura esplosiva e ha provato a far saltare un autobus, un bar, un aereo, o un ristorante? No. Perché purtroppo la realtà dei fatti è questa: il terrorismo è una creazione tutta islamica; solo ed unicamente islamica. Ed è per questo che mi si rivolta lo stomaco a sentire i media politically correct che preferiscono parlare di “terrorismo internazionale” piuttosto che di “terrorismo islamico”; che preferiscono chiamare combattenti, militanti, miliziani (che fantasia!) quelli che in verità sono terroristi. Questa non è correttezza: questo è girarsi dall’altra parte facendo finta che un problema non esiste, perché riconoscerlo e soprattutto affrontarlo sarebbe troppo faticoso, troppo fastidioso. Siamo arrivati ad un punto nel quale la presenza di musulmani nel mondo è sinonimo di problemi: anche a casa nostra, in Europa, iniziamo ad accorgercene. E allora la domanda sorge spontanea: è tutto il mondo che è storto e che ce l’ha ingiustamente con l’Islam, o magari è il contrario?

            Immagino già l’ira con cui un politicamente corretto leggerebbe queste parole, affrettandosi a rispondermi: non tutti i musulmani sono terroristi, non tutti sono sanguinari, non tutti sono fanatici, “non si può fare di ogni erba un fascio”. Verissimo. Anzi, sacrosanto: non potrei essere più d’accordo. Ma è proprio qui che si trova il cardine della differenza tra “noi” e “loro”, tra Occidente ed Islam. Tra i palestinesi, forse appena una persona su cento, o su mille, è un ‘miliziano’ di Hamas; in Afghanistan magari uno su diecimila è un Talebano; del miliardo e mezzo di musulmani nel mondo, i terroristi veri, quelli che uccidono, sgozzano, sparano e fanno esplodere, forse saranno qualche decina di migliaia. E allora perché bollare l’Islam come diverso per così poche persone? Il motivo, purtroppo, è banale.

Per quanto sia vero che non tutti i musulmani sono terroristi, che la maggior parte di loro non torcerebbe un capello a nessuno, è altrettanto vero che la stragrande maggioranza dei musulmani al mondo appoggiano, tacitamente o apertamente, i fini e gli obbiettivi dei terroristi. Magari non si mettono la cintura esplosiva addosso, ma comunque sono usciti nelle piazze a festeggiare il crollo delle Torri Gemelle; magari non si scagliano con un’autobomba sulla folla inerme, ma sono felici di sentire Ahmadinejad che auspica la distruzione di Israele; magari non dirottano un aereo, ma sono d’accordo con Osama Bin Laden quando lo sentono inveire contro l’Occidente. La faccia brutta dell’Islam purtroppo non è solo il terrorismo: quella è la faccia più brutta. Ma spesso ci si dimentica dell’Arabia Saudita, considerata “moderata” ma in cui le donne vengono schiavizzate, chiuse negli harem, un paese in cui non si può professare liberamente una religione differente dall’Islam; o dell’Egitto, considerato filo-Occidentale, ma in cui la pratica dell’infibulazione delle donne è all’ordine del giorno.

Qui traccio una linea, e distinguo chi sono i “noi” e  i “loro”. Ricordandomi perché sto dalla parte di Israele, per quanto questo paese sia lungi dalla perfezione e meriti – come tutti gli altri paesi del mondo – di essere criticato. È per questo che sto dalla parte dell’America quando combatte i Talebani in Afghanistan e Al-Qaeda in Iraq. Ed è per questo che ce l’ho con Obama quando appoggia la costruzione di una moschea a Ground Zero. Io sono, a prescindere, contro tutti gli estremismi, contro tutti i modi ciechi – islamici e non – di interpretare la religione, e di coinvolgerla nella vita pubblica e privata al punto di farla diventare la chiave di lettura per tutta la realtà circostante. E per questo sto, a prescindere, dalla parte della democrazia, della modernità, dell’avanzamento, e della pace. Sono questi infatti i valori che hanno liberato l’Occidente  dall’abisso del Medio Evo; e sono questi i valori che lo hanno reso, con tutte le sue imperfezioni, i suoi errori, le sue incongruenze, le sue ingiustizie, quello che è oggi. Un posto migliore dove vivere per tutti.

Chi non lo riconosce è un ipocrita, un cieco. Anzi, per essere politically correct, un non-vedente.


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