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David Braha
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Censura e libertà di stampa: perché Israele è e resta una democrazia 08/06/2010

Censura e libertà di stampa: perché Israele è e resta una democrazia

 

Israele è universalmente riconosciuto come uno Stato democratico. Ma con una differenza rispetto alle nazioni che non vivono in uno stato di guerra permanente: il suo sistema politico è stato sempre caratterizzato dall’esistenza di una attenzione particolare verso la diffusione di notizie che possono mettere in pericolo la sicurezza nazionale. Sarebbe un errore chiamarla censura, nel senso che abitualmente si dà a questa parola.  Ma  la minaccia all’esistenza di Israele,  pressoché costante fin dalla nascita dello stato nel 1948, richiede misure di garanzia molto forti. A un esame superficiale, potrebbe apparire estremamente problematica ed antidemocratica. Tuttavia nel corso dei decenni si sono sviluppati meccanismi di controllo e di autocontrollo della censura, che hanno così contribuito a creare in Israele un equilibrio unico nel suo genere: la compatibilità tra censura e democrazia.

 Appena cinque giorni dopo la fondazione dello Stato d’Israele, e al fine di far fronte all’attacco di tutti i paesi arabi della regione, il governo guidato da Ben Gurion dichiarò lo stato di emergenza, che non venne mai annullato, e rimane attivo ancora oggi dopo 62 anni. Sul tema della censura, questi regolamenti affermano che “il censore è autorizzato a proibire la pubblicazione di materiale che pregiudicherebbe la sicurezza o l’ordine pubblico”. Tuttavia tale definizione apparve sin dall’inizio troppo vaga e soggetta alla libera interpretazione della leadership politica. È per questo che meno di un anno dopo, nel 1949, si stabilirono i primi limiti alla censura: in primo luogo, essa poteva essere applicata soltanto ad informazioni riguardanti la sicurezza; inoltre, i media ottennero il diritto di appellarsi alla Corte Suprema nel caso di una disputa con il censore. Altri limiti e controlli vennero aggiunti nel corso dei decenni. Il primo fu l’istituzione del Comitato dei Direttori dei quotidiani, incaricato di confermare o smentire la necessità di censurare determinate informazioni; successivamente venne creata anche la cosiddetta Commissione dei Tre (Vaadat Hashloshah), formata rispettivamente da un rappresentante degli interessi del pubblico, uno degli editori e uno dell’esercito, con il ruolo di “corte di appello” per quei giornalisti insoddisfatti delle decisioni sia del censore che del Comitato dei Direttori. Tuttavia il limite più importante al potere della censura venne imposto nel 1989. In quell’anno infatti la Knesset decise che le uniche informazioni soggette a censura sono quelle con il potenziale di mettere in “evidente pericolo” la sicurezza nazionale o quella dei cittadini.

 Se questo è stato lo sviluppo degli equilibri tra censura e democrazia in Israele, al giorno d’oggi la situazione ha raggiunto un punto di stabilità basato più su accordi non scritti che non su leggi vere e proprie. Infatti secondo la legge e, come detto, secondo soprattutto i regolamenti di emergenza ancora attivi, il governo israeliano può imporre la censura su virtualmente qualsiasi informazione. Tuttavia la classe dirigente ha di fatto rinunciato ad esercitare questo potere, affidandolo ad organi di controllo quali il Comitato dei Direttori, la Commissione dei Tre ed in ultimo luogo la Corte Suprema. Ad oggi inoltre esiste una lista di circa 30 argomenti potenzialmente censurabili – tutti strettamente legati alla sicurezza – che escludono temi di attualità, politica, scandali, cronaca etc.: se il tema di un’informazione da pubblicare fa parte di questi 30, allora l’autore è obbligato a presentarla all’organo di censura, che decide il da farsi. Tuttavia, secondo la direttrice dell’ufficio di censura israeliana, Sima Vaknin-Gil, meno del 5% delle informazioni subiscono una censura totale. Oltre l’85% delle viene pubblicato senza alcun tipo di variazione, e circa il 10% viene pubblicato con modifiche minime. E come se non bastasse, anche in caso di censura, i media possono sempre appellarsi alla Commissione dei Tre o alla Corte Suprema. Di conseguenza è evidente che il sistema israeliano è lungi dall’abusare della censura, usandola in maniera regolare ed arbitraria come invece avviene nei regimi autoritari.  Fa invece, di un mezzo potenzialmente antidemocratico un uso che lo rende un’arma  più che altro finalizzata alla protezione dei propri cittadini.

 È per questo che le dispute tra i media ed il censore sono diventate, al giorno d’oggi in Israele, sempre più rare. Casi come quello di Anat Kamm e del giornalista di Ha’Aretz Uri Blau,  (http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=&sez=330&id=34837) rappresentano vere e proprie eccezioni all’interno di un sistema che ormai ha trovato il suo equilibrio. Inoltre il motivo di tale equilibrio trascende anche l’esistenza degli organismi di controllo, in quanto la caratteristica principale del giornalismo israeliano contemporaneo è la responsabilità. Gli stessi giornalisti, essendo stati essi stessi soldati, e conoscendo le particolari necessità di sicurezza del proprio paese, sono i primi ad evitare la pubblicazione di informazioni delicate. Di conseguenza il ruolo del censore si è così ridotto nella maggior parte dei casi a uno di correzione e di controllo, piuttosto che di censura vera e propria; e comunque anche il potere del censore stesso è strettamente regolato e limitato.

 Il caso della censura e della libertà di stampa in Israele, quindi, rappresenta un tassello importante all’interno di un’immagine più vasta. Coloro che odiano Israele, che troppo spesso lo accusano di essere la causa di tutti i mali in una polveriera quale il Medio Oriente, basano i loro giudizi senza tenere conto del carattere democratico del paese.  Oltre alla questione della censura, un altro fattore molot discusso è la mancanza di una costituzione scritta. Tuttavia quello che la maggior parte delle persone ignora, è che nonostante questo lo Stato d’Israele è riuscito ugualmente a non abbandonare la propria natura democratica, radicata nelle parole della stessa Dichiarazione d’Indipendenza. Non male, per essere l’unica democrazia al mondo la cui esistenza è stata costantemente minacciata dal giorno della sua nascita ad oggi.


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